Monsignor Giovanni Maria Pellizzari, il primo Vescovo (trevigiano) di Piacenza
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
Giovanni Maria Pellizzari, il primo Vescovo (trevigiano) di Piacenza
Una felice "coincidenza" consegna idealmente la cura pastorale della nostra Diocesi a un altro trevigiano a un secolo esatto dal predecessore.
Forse non tutti lo ricordano, ma il nostro vescovo Adriano non è il primo vescovo di Piacenza di origini trevigiane. Originario della provincia Treviso, quella fertile e prospera terra racchiusa tra il Piave e il Sile, tra le Prealpi bellunesi e la Laguna veneta, era infatti anche un suo illustre predecessore, monsignor Giovanni Maria Pellizzari, che resse la nostra Diocesi tra il 1905 e il 1920 e che, come monsignor Cevolotto, prima di essere consacrato vescovo era stato rettore del seminario di Treviso. Scopriamo meglio la sua figura con questo breve ritratto.
Monsignor Giovanni Maria Pellizzari nasce il 26 febbraio 1851 a San Zenone degli Ezzelini, ai piedi dei colli asolani, nell’attuale provincia di Treviso, facente allora ancora parte del Lombardo-Veneto sottoposto al dominio austriaco. Compie i suoi studi presso il seminario vescovile di Treviso, diocesi presso la quale viene incardinato dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1873. In seguito, a completamento dei suoi studi, consegue la laurea in matematica e fisica, ottenendo l’abilitazione in scienze naturali, per poi ottenere una nuova laurea in filosofia nel 1877, sempre presso l’Università di Padova.
Diviene quindi docente presso il Seminario diocesano di Treviso, del quale diverrà anche rettore dal 1897 al 1905, fino a quando non giunge una chiamata improvvisa a scombinare la sua esistenza. Il 15 settembre di quell’anno papa Pio X, suo conterraneo e quasi vicino di casa, essendo nativo del borgo di Riese, che lo aveva conosciuto mentre occupava la carica di direttore spirituale del Seminario di Treviso, lo designa infatti come nuovo vescovo di Piacenza, rimasta senza pastore in seguito alla morte di mons. Giovanni Battista Scalabrini, nomina che suscita perplessità tra molti piacentini che ritenevano non sarebbe stato facile avere un presule capace di eguagliare la statura del predecessore, protagonista di lungo ed illuminato episcopato (1876-1905). Il 1° ottobre 1905 riceve la consacrazione episcopale da monsignor Antonio Feruglio, vescovo di Vicenza; al sacro rito partecipano come co-consacranti anche altri due presuli veneti: Andrea Giacinto Bonaventura Longhin, vescovo di Treviso, e Francesco Isola, vescovo di Concordia (Sagittaria). Prende possesso della Diocesi l'8 dicembre dello stesso anno, solennità dell'Immacolata Concezione.
Questa nomina, voluta personalmente da papa Sarto, del quale era anche amico personale, porta mons. Pellizzari ad affrontare alcune tra le sfide più importanti del suo tempo, a confrontarsi in prima persona con le varie minacce che allora, come peraltro in tutti i tempi, attentavano e attentano alla vita della Chiesa, minacciando di stritolarla o ridurla al silenzio. In quegli anni la minaccia maggiore era senza dubbio quella portata dal modernismo, che sarà di lì a poco fermamente e definitivamente condannato da Pio X con la nota enciclica Pascendi Dominici gregis. Devoto al Sacro Cuore e alla Beata Vergine, Pellizzari sostiene la linea di rigore del pontefice e cerca di custodire il deposito e l’autenticità della fede, restando sempre fedele al Vangelo e difendendo gelosamente la purezza della dottrina.
Dalla sua terra natia, mons. Pellizzari porta a Piacenza la stagione veneta dell’associazionismo laicale, un fermento di partecipazione che proprio in Veneto aveva mosso i primi passi superando l’intransigentismo del Non Expedit, perché la cura per i fratelli è fatta di relazioni sociali, politiche ma anche economiche. Nella nostra Diocesi mons. Pellizzari diede infatti subito impulso all’associazionismo economico in campo cattolico, giovandosi delle sue precedenti esperienze nella sua terra natia, e pur non mancando di condannare severamente gli aspetti antireligiosi del socialismo, allora in rapida ascesa, assunse sovente una posizione di dura condanna contro la gestione borghese della proprietà, responsabile delle misere condizioni di vita in cui versavano le plebi delle campagne, condannati spesso a vivere in misere stamberghe (di cui fanno fede gli atti delle visite pastorali). Fu quindi accusato di essere un criptosocialista da parte della Destra liberale. Mons. Pellizzari divulga il suo pensiero sociale attraverso le sue lettere pastorali e il settimanale cattolico, concretizzandolo con istituzioni di avanguardia, come la fondazione delle casse rurali.
Descritto come un uomo determinato e dal carattere non facile, spesso criticato perché autoritario (dovette sperimentarlo anche il nostro monsignor Cardinali che preferì rinunciare alla direzione del Seminario urbano), Pellizzari non manca però di svolgere con dedizione il suo compito di pastore attento alle sue pecore, pur in un tempo difficile, segnato da molti travagli e novità. Non viene però mai meno uno dei tratti distintivi della sua personalità, l’attenzione per i poveri e i sofferenti, anche in occasione di disastri naturali, come la storica piena del Po dell’ottobre 1907, e di eventi ancor più funesti, come lo scoppio della Grande Guerra.
Dopo l’entrata dell’Italia nel conflitto, mons. Pellizzari segue con attenzione le indicazioni di papa Benedetto XV, che avrebbe definito la guerra "inutile strage", invita a pregare con fervore per i soldati al fronte, dispone che in ogni messa si reciti la preghiera Pro pace, sprona i suoi sacerdoti ad organizzare tridui di preghiera e processioni, suggerisce al popolo di astenersi dai divertimenti.Il suo atteggiamento serve come guida non solo entro i confini della nostra Diocesi: molti vescovi richiesero in visione la sua lettera pastorale del 1915, nella quale esprimeva il suo pensiero sulla guerra. Il suo impegno non si limita però soltanto alle direttive e al silenzio orante: mons. Pellizzari non esita a scendere in campo in prima persone per alleviare le sofferenze del popolo affidato dal papa alle sue cure pastorali: promuove infatti collette per soccorrere le famiglie bisognose, vuole conoscere personalmente le madri, le mogli, i figli di chi combatte al fronte, non esita a visitare frequentemente gli ospedali militari, spuntati come funghi anche a Piacenza, stabilendo così un saldo legame, spirituale e umano insieme, con la sua gente.
Mons. Pellizzari non tralascia il suo clero e molto si spende a favore dei sacerdoti mobilitati, cerca di evitare che siano richiamati alle armi, non esitando a rischiare qualche rimbrotto bonario da parte delle autorità statali. Dei 560 sacerdoti della Diocesi ne furono mobilitati circa un’ottantina, di questi una quindicina svolse funzioni di cappellano militare, spesso nelle retrovie, ma anche in prima linea come don Giovanni Serafini, decorato di medaglia di bronzo al Valor Militare alla memoria. Più e più volte il Vescovo si lamenta per le requisizioni di immobili operate dalle autorità militari, cercando (inutilmente) di impedire che dopo il Seminario di Bedonia e il Collegio Alberoni sia requisito anche il Seminario urbano, adibito ad ospedale militare subito dopo la disfatta di Caporetto. Nell’autunno 1917, nell’ora più buia della guerra, con gran parte del Veneto invaso e con la linea del fronte arretrata fino al Piave, mons. Pellizzari non dimentica la sua terra d’origine e nei suoi scritti ricorda spesso le laboriose popolazioni della sua terra natia, e si attiva concretamente per inviare loro aiuti raccolti anche dai Piacentini, un gesto di fratellanza e solidarietà capace di rischiarare le brutture della guerra.
Per tutto il suo episcopato mons. Pellizzari promuove con tenacia i circoli giovanili cattolici, la scuola di religione, che in città veniva tenuta in Episcopio, il circolo ricreativo San Tarcisio. L'attenzione per i Seminari, la visita pastorale, il Sinodo diocesano che celebrò nei giorni 30, 31 agosto e 1° settembre 1910, la Santa Eucarestia, la catechesi sono i cardini e i punti di riferimento di tutta la sua azione pastorale. Mons. Pellizzari conclude il suo episcopato con un gesto in onore della Madonna: il 5 settembre 1920 incorona solennemente la Beata Vergine della Quercia di Bettola, prima di morire inaspettatamente pochi giorni dopo, il 18 settembre di quello stesso anno, all’età di 69 anni. Alla guida della nostra Diocesi gli succederà mons. Ersilio Menzani.