Avvento 2020, l’immagine
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
Avvento 2020, l'immagine
La Vergine con Bambino di Giovanni Alberti
Il testo che proponiamo di seguito è tratto dal Fascicolo di presentazione del percorso di Avvento realizzato dalla nostra Diocesi.
Un meraviglioso antico racconto narra che l’imperatore Ottaviano, ritenuto uomo prudente, doveva essere insignito dell’importante titolo di immortale come un dio. Sapendo la verità della sua mortalità, si narra non volesse dare assenso a tale iniziativa. Ma data l’insistenza dei senatori dell’antica Roma, si consultò con la Sibilla.
“Era il giorno della Natività di Cristo e la Sibilla si trovava in una stanza sola con l’imperatore: ed ecco apparire un cerchio e in questo cerchio una vergine bellissima con un fanciullo in grembo. La Sibilla mostrò questo bambino all’imperatore: mentre costui teneva fissi gli occhi nella visione sentì una voce che diceva: «Questa è l’ara del cielo!». Esclamò allora la Sibilla: «Questo fanciullo è più grande di te; adoralo». La stanza dove avvenne tale fatto è stata poi conservata alla Madonna ed ora si chiama Santa Maria in ara coeli.” (J. Da Varagine, Leggenda aurea, p. 52)
Quella vergine bellissima con il suo bambino era immagine di quanto stava accadendo in un luogo umile e distante, di certo non paragonabile al grande palazzo dell’imperatore di Roma. Ma accadeva nella grande sala che aveva per soffitto il cielo divenuto trasparente, cristallino; che aveva la terra ed i suoi fiori come manto caldo e soffice in cui abbandonarsi; che aveva un abbraccio come trono semplice e accogliente. Che un fatto così umile e ordinario, come la nascita di un bambino, possa diventare il centro del cosmo che lo accoglie e ne viene rischiarato: ecco dove corre lo sguardo, la curiosità del sapere e la meraviglia dell’udire. Una festa dei sensi, dove tutto ciò che è impreciso e opaco trova la propria verità, la propria forma, il proprio compimento.
Ed ecco di nuovo oggi, come allora, un fondo opaco, appena abbozzato, come impreciso e a tratti è il nostro conoscere. Un conoscere che si perde tra le tracce di Dio invocato e cercato nelle stelle che affollano il cielo, nel dolore che abita la terra, nello smarrimento di uno sguardo impaurito o nell’attesa sorpresa di quello di un bimbo. Da quel fondo, dove siamo tutti, con i nostri dubbi e le nostre attese, dove sei anche tu con i tuoi passi appesantiti e le tue spalle cariche di promesse, una mano ha tracciato le linee di un manto. Bello e colorato dell’allegria dei fiori, dei colori della luce che rende affascinante il vivere, con le sue gioie e i suoi mali. Ed incorniciati in quel manto due volti, calmi e buoni come quell’abbraccio, appena abbozzato, che offre serenità. Dalla prepotenza del mondo, l’intimità di un sereno cercarsi, lo stringersi di un abbraccio.
Il volto non può nascondere: è fatto per dire, per lasciarsi andare, anche quando non si vorrebbe. Gli occhi, a volte trasparenti e certi, a volte sfuggenti e opachi; le guance colorate o pallide a tracciare i moti del cuore, le labbra, che non sanno mai nascondere fino in fondo il pianto e il riso. Il volto, disteso e calmo, abbandonato alla certezza di un affetto e all’emozione di un contatto: eccoli Madre e Figlio, vicini nel volersi bene, stretti nell’essere l’uno con l’altro.
Se la leggenda ci narra di Ottaviano imperatore, la Bibbia ci consegna la Parola forte dei profeti. È una parola che trascende noi uomini, ma che è per noi; è quel linguaggio sicuro che talvolta noi cerchiamo, ma che non giunge da noi. È Dio che parla. E parla al cuore del suo popolo. “Consolate il mio popolo – dice il vostro Dio-. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata.” (Is 40,1-2) Dalla confusa e opaca esperienza, sempre limitata e imperfetta, della nostra umanità, prendono forma quegli accenti consolanti che vengono a portare luce, ad essere un manto che ripara e un abbraccio che conforta. Ecco il definirsi di un’immagine che pur provenendo dalla mano d’uomo, custodisce la verità di Dio: una vergine bellissima e il suo bambino.
Gli occhi chiusi, con quel tratto che accompagna l’abbraccio che fa sospendere, emozionato e lieve, il respiro. Gli occhi si coprono, le labbra si chiudono per lasciare spazio all’emozione beata di un attimo. E il bambino appoggia la testa, grato e sereno, accolto da quella donna, nonostante tutto. Infatti quel bambino giunge a portare consolazione nella vita improvvisamente scossa e incerta di una donna vergine e madre. Quella mano che sale, a proteggere in un contatto che è tocco buono e sicuro, lascia che il braccio del bambino le si avvicini, nel pacifico tendersi che cede alla gioia di un sereno riposo. Il cuore della madre ed il cuore del figlio, ancora vicini e a cercare l’accordarsi in un ritmo lento, come il respiro di un sonno fiducioso e ristoratore. Cuori che battono per lasciare che si inveri ancora una volta quella profezia: “Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, noi tutti siamo opera delle tue mani”. (Is 64,7) Quel cuore a cuore che fa battere tutti allo stesso ritmo, che ci fa ritrovare tutti stretti in un unico abbraccio, che ci fa respirare della consolazione che dal cielo giunge a dar forma nuova al nostro vivere, che plasma con gesto fermo e sicuro la fragilità del nostro essere di ogni giorno. E non con la violenza di una stretta, ma con la soavità di un abbraccio, con la semplicità dell’abbraccio di una vergine e del suo piccolo, prodigioso figlio.
L’opacità del fondo, lo splendore dei volti; la bellezza sicura dei tratti e la ricerca continua della luce: la vergine madre col proprio bambino di Giovanni Alberti ci porta alla mente quella mirabile visione del lontano imperatore romano. Ma quel che racconta quest’immagine è ben altro: non è una storia di imperi e guerre, ma è la storia di chi cerca e trova consolazione tra l’avvicendarsi degli imperi e delle guerre; non è la storia degli egoismi e delle chiusure degli uomini, ma di chi cerca un cuore con cui accordarsi per lasciarsi andare in un abbraccio consolante; non è la storia dell’arroganza dell’uomo che vuole farsi Dio, ma l’umiltà consolante e serena di Dio che si fa uomo. Stretti in questo abbraccio per trovar consolazione, sotto il riparo di un manto che diviene la tenda in cui Dio ci dà convegno, a lasciare che il nostro cuore si emozioni e colori di rosso il nostro viso, come quello di un bambino emozionato e di una giovane madre finalmente felice. Ecco: finalmente felice. Di quella felicità degli attimi benedetti in cui Dio ti parla della sua consolazione, facendosi lui stesso consolazione. Solo allora il tuo respiro sarà gratitudine e dalla tua bocca non potrà che salire la lode. Solo allora sarai grato a quel Gesù, Figlio incarnato, cuore di carne che pulsa per te, cuore di Dio che si dona a te.
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