Pontenure e i suoi Curati – Don Francesco Delnevo
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
Pontenure e i suoi Curati - Don Francesco Delnevo
Allo scoperta dei curati della nostra Parrocchia
Pontenure nelle sue vie e nelle sue strade ricorda un buon numero di sacerdoti: alcuni di essi sono parroci che per molti anni hanno guidato la nostra Parrocchia (monsignor Cardinali e monsignor Losini), altri sono sacerdoti famosi perché vittime della violenza nazifascista (don Giovanni Minzoni) o attivi nella Resistenza (don Giuseppe Borea e don Giovanni Bruschi). Nessuna via ricorda però, a parte don Alberto Carozza, i molti curati che fino agli anni Sessanta del secolo scorso affiancarono gli arcipreti nella cura pastorale della Parrocchia, sebbene alcuni di loro abbiano un vissuto particolarmente interessante. Uno di essi, dal quale vogliamo iniziare questa nostra ricerca, è don Francesco Delnevo, vittima innocente della brutalità nazista.
Don Francesco Delnevo nacque il 3 settembre 1887 ad Albareto, un piccolo borgo dell'Appennino parmense a pochi chilometri da Borgotaro. Ordinato sacerdote il 25 luglio 1913, già nel successivo mese di agosto giunse a Pontenure, dove per più di un decennio prestò servizio come curato di monsignor Giuseppe Cardinali, in un periodo assai difficile e impegnativo, segnato dalle sofferenze della Grande Guerra e dalla violenza e della povertà dei primi anni del dopoguerra. In quegli anni fu senza dubbio valido collaboratore di monsignor Cardinali, che dovette stimarlo parecchio vista la lunga permanenza a Pontenure. Nel 1924 don Francesco fece finalmente ritorno alla sua terra natia, alle sue amate montagne della Val di Taro, avendo finalmente ottenuto la nomina a prevosto della Parrocchia di San Pietro Apostolo in Porcigatone, una delle tante frazioni di Borgotaro, di cui rimase titolare fino alla morte.
Sacerdote avveduto ed esperto, don Francesco era assai benvoluto e stimato dai suoi parrocchiani. Curava con dedizione la sua chiesa e la sua Parrocchia, posta in terra parmense ma appartenente alla Diocesi piacentina, ove aveva svolgere notevoli lavori, migliorando con non pochi sacrifici anche i possessi del Beneficio parrocchiale. Di lui si dice che fosse un uomo buono e semplice, senza nessuna idea politica, dedito soltanto a fare da pastore al gregge affidato alle sue cure. Dopo l'inizio del secondo conflitto mondiale, non piegando il capo di fronte alle autorità politiche, era riuscito tra l'altro a farsi restituire il concerto delle campane, requisito in un primo tempo per sostenere le necessità belliche del Paese, perché era stato donato dai suoi parrocchiani in ricordo dei Caduti della Grande Guerra. Coinvolto nelle tragiche temperie della guerra, dopo l'8 settembre e l'occupazione tedesca, aveva impedito ai mongoli (i prigionieri russi che i tedeschi avevano portato su questo settore del fronte dopo averli arruolati nelle loro file) di violentare un gruppo di donne della sua Parrocchia, nascondendole in chiesa, un gesto che avrebbe potuto costargli assai caro. Per puro caso si trovava a Sidolo di Bardi, dove nell’estate del penultimo anno guerra lo sorprese la tragica fine, pare in seguito alle insistenze della madre e della sorella, che lo avevano invitato a scappare della canonica, dopo aver saputo dei soprusi e delle violenze operati in quei giorni da una colonna tedesca nei borghi vicini, in cui la guerra stava scrivendo le pagine più nere della sua già discutibile storia.
Cosa accadde? Il 20 luglio 1944 don Delnevo si trovava presso la canonica di Sidolo, ospite dell’arciprete don Giuseppe Beotti, insieme al giovane seminarista Italo Subacchi, giovane alunno del Seminario di Parma, in procinto di essere ordinato sacerdote, che aspirava di partire per le Missioni estere. Essendosi diffuse le voci di un'imminente arrivo di una colonna di tedeschi che stava rastrellando il territorio, la sorella di don Giuseppe, Savina, ritagliò una sorta di bandiera bianca da un lenzuolo. Il giovane Italo si offrì di fissarla sul campanile della chiesa di Sidolo, per indicare che in quel luogo non vi erano partigiani, sperando così di salvare il paese da una brutale rappresaglia, ma il vessillo a quanto pare venne scambiato dai tedeschi come un segnale diretto ai partigiani. Poco dopo, i sacerdoti vennero raggiunti da sei giovani fuggiaschi provenienti da Borgotaro, che don Giuseppe aveva incontrato la sera precedente, affamati e stanchi dopo aver passato la notte in un fienile. Il sacerdote, ottenuto del pane da una famiglia amica, lo distribuì loro, affiancato da don Francesco e dal giovane Italo.
Ma i soldati tedeschi avevano osservato la scena dal campanile del vicino paese di Cereseto: dopo essersi presentati in canonica di primo mattino, chiesero al parroco don Beotti se vi fossero "banditi", termine da loro usato per indicare i partigiani. Avuta risposta negativa, perquisirono la canonica, si fecero dare da mangiare e si allontanarono, accusando però i tre religiosi di aver dato da mangiare e offerto aiuto a dei ribelli. Verso le 13 i soldati tedeschi tornarono in paese, prelevarono don Francesco, don Beotti e il giovane seminarista dalla canonica e li collocarono contro il muro di cinta del beneficio parrocchiale, sottoponendoli per oltre due ore, sotto il sole e la canicola, a ingiurie, sevizie e interrogatori. Infine, giunse il verdetto: fucilazione per tutti, sia per i tre chierici che per i sei fuggiaschi, ritrovati in un secondo tempo nei dintorni del paese, solo uno dei quali riuscì fortunosamente a scampare alla morte, fuggendo a perdifiato tra i campi.
Prima di essere uccisi, presso il cimitero del paese, don Francesco e don Giuseppe si scambiarono reciprocamente l’assoluzione, accomunati dalla loro fedele testimonianza di sacerdoti nel martirio, e uno di loro concesse il perdono dei peccati anche al giovane Italo, poi si abbracciarono commossi e pregarono l’uno per l’altro, perdonando nel segreto del cuore i loro aguzzini. Giunse infine una crudele scarica di proiettili, ma, mentre i sacerdoti morirono sul colpo, il seminarista protrasse la sua agonia per alcune ore. Come ulteriore oltraggio, queste vittime innocenti subirono un colpo di pistola al cranio.
La salma di don Francesco venne rilevata fin dal 22 luglio da un gruppo di "buone donne" della sua Parrocchia e sepolta nel cimitero di Porcigatone. Il 26 luglio, mons. Carlo Boiardi, arciprete di Borgotaro e futuro vescovo di Massa Carrara, celebrò un ufficio di suffragio per don Francesco nella chiesa del piccolo borgo. Da segnalare, infine, che nel febbraio 2002 si è aperto nella Diocesi di Piacenza-Bobbio il processo di beatificazione di don Giuseppe Beotti, un processo celebrato in via straordinaria su impulso dell'allora vescovo mons. Luciano Monari per non perdere l'apporto dei testimoni ancora viventi di quei giorni così tragici eppure così ricchi di fede, speranza e carità.