Quaresima 2023: La Samaritana – Libera l’amore
di Redazione Sito ·
Quaresima 2023: La Samaritana - Libera l'amore
Testo tratto dalla Lectio per la terza settimana della Quaresima pubblicato dalla Diocesi
Perché la donna samaritana non scappa arrabbiata dopo le parole di Gesù che, in fondo, la inchiodano? Solo perché Gesù ha raccontato la sua vita senza giudicarla? È bastato questo? Oppure Gesù, nel suo dire, le ha dato una conferma? Anche tu hai diritto a essere felice, ad amare ed essere amata. Solo che avevi sbagliato il modo, avevi cercato nei modi e nei posti sbagliati. Adesso hai ancora del tempo davanti a te, puoi ripartire, puoi ricominciare a vivere e a donare te stessa nelle relazioni vivendole in un modo nuovo, certamente adeguato alla tua dignità di donna e di figlia di Dio, amata e perdonata.
IL VANGELO - Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 4,5-42)
In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
MEDITAZIONE - di don Giuseppe Tosca
Nel 721 a.C. Sargon II concluse l’assedio a Samaria iniziato dal suo predecessore e Samaria fu distrutta e tutti gli abitanti furono deportati. Decise quindi di ripopolare Samaria con nuovi abitanti presi da cinque diversi popoli pagani, che non conoscevano il Dio d’Israele, ma adoravano i loro idoli, detti baal. Secondo il primo libro dei Re, Dio inviò contro questa gente dei leoni cosicché il re d’Assiria ordinò che fossero trasferiti in Samaria dei sacerdoti israeliti, che erano stati deportati, perché v’insegnassero il culto al Dio d’Israele. Tutto ciò generò in Samaria un culto sincretistico e nel 520 a.C. si arrivò alla rottura tra Giudei e Samaritani. Poiché i primi non concessero a questi ultimi di partecipare alla ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, i Samaritani si eressero un proprio tempio sul monte Garizim verso la fine del IV secolo a.C.; la rottura divenne, però, definitiva quando, nel 128 a.C., il re asmoneo Giovanni Ircano I, nipote di Giuda Maccabeo, distrusse Samaria e il tempio sul monte Garizim. Da allora il termine ‘samaritano’ divenne fra gli ebrei uno dei peggiori insulti. Da questo breve sunto capiamo subito alcune cose: 1. baal indica l’idolo, ma - come si vede nel racconto della samaritana - anche il termine ‘marito’ è indicato da baal, che significa signore; 2. la donna samaritana aveva cinque baal come la Samaria, che venerava cinque idoli portati ciascuno da uno dei cinque popoli che l’avevano occupata al tempo di Sargon II; 3. la donna samaritana rappresenta la Samaria; 4. il dialogo di Gesù con una donna è già abbastanza fuori dal normale, ma diventa inaudito se quella donna è una samaritana; 4. ma ancora più inaudita è la conversione finale dei Samaritani compaesani della donna.
Passiamo ora al pozzo di Giacobbe. Questo pozzo è situato vicino alla città di Sichem, oggi Nablus, dominata dal monte Garizim. Sichem è stata, durante la storia della salvezza, un crocevia di cammini, in cui sono passati i patriarchi, e luogo d’incontri significativi. Lì passò Abramo dopo che fu arrivato a Canaan e lì Dio gli disse che proprio quella terra era la terra che gli aveva promesso. Anche Giacobbe, dopo la lotta con Dio al guado di Iabbok, pervenne a Sichem e qui ordinò al suo clan di eliminare tutti gli dei stranieri che avevano con loro. A Sichem più volte ritorna l’affermazione dell’unicità del vero Dio e l’affermazione del suo culto in opposizione all’idolatria. Siccome i Samaritani vivevano una specie di sincretismo religioso fra il culto a Yahwè e il culto ai baal è interessante vedere come nel cuore di Samaria anche Gesù, nel suo dialogo con la donna samaritana, affermi quale sia l’unico vero culto. Anche Mosè passò a Sichem e sul monte Garizim e, dopo di lui, Giosuè, che prima di morire vi tenne la grande assemblea detta, appunto, di Sichem in cui Israele rinnovò solennemente la sua alleanza con Dio. Dopo la morte del re Salomone (931 a.C.), proprio a Sichem avvenne lo scisma tra Israele e Giuda per cui si formarono il Regno del Nord e il Regno del Sud e Sichem divenne la capitale d’Israele.
Sichem è stata, quindi, sempre lo scenario del combattimento fra la manifestazione del Dio d’Israele e l’idolatria dei popoli pagani.
Penso che da questo brevissimo excursus storico possiamo capire il motivo per cui il dialogo in cui Gesù afferma quale sia l’unico vero culto a Dio avvenga in Samaria con una samaritana. La Samaria è luogo di sincretismo religioso, di compromessi fra l’unico vero Dio e l’idolatria. Anche noi viviamo il nostro cristianesimo spesse volte in questo modo. Un po’ Dio un po’ Mammona, un po’ Dio e un po’ gli idoli della nostra società, come il denaro, il lavoro, il piacere, gli affetti eccetera. La donna che rappresenta Samaria, in realtà rappresenta anche noi. E come c’è bisogno che Gesù smascheri l’idolatria della donna, così, perché possiamo accedere a una fede sperimentata, è necessario che Gesù smascheri la nostra idolatria e la nostra ipocrisia e questo è un processo doloroso. La fede cattolica non è un’evasione dalla realtà, non è un’alienazione, un sentimentalismo che scalda il cuore. Perché la fede possa esistere in noi è necessario che siamo collocati nella nostra verità, perché riconosciamo la nostra idolatria, il nostro peccato. Solo i peccatori possono avere accesso a Dio, non certamente degli ipocriti che si riempiono la bocca di belle parole e si sforzano di nutrire buoni sentimenti verso Dio. Per questo il Signore permette che ci accadano fatti che ci fanno sperimentare l’impotenza dei nostri idoli a darci la vita. Per questo Gesù non usa l’espressione usuale per chiedere di essere dissetato, non dice: ‘dammi dell’acqua’, ma dice ‘dammi da bere’, usando un’espressione che si ritrova nella Bibbia soltanto in occasione della mormorazione degli israeliti nel deserto, quando si lamentavano della mancanza d’acqua e si sentivano morire. Gesù si identifica, da una parte con Israele che chiede l’acqua nel deserto, ma, dall’altra, esprime una richiesta che ritroviamo sul Golgota durante la passione: «Ho sete». Questa sete esprime il desiderio bruciante, da parte di Gesù, della salvezza delle anime; Gesù ha sete della salvezza della donna samaritana; ha sete, ha desiderio che la samaritana abbia sete di lui. Questo può essere, però, intuito solo al termine del vangelo di Giovanni. In questo contesto la richiesta di Gesù può suonare, al lettore del vangelo, come un invito alla donna samaritana a mostrargli di che cosa si disseta, qual è l’acqua che beve, da dove pensa di ricevere la vita, per farle comprendere che c’è molto di più, c’è chi può dare un’acqua sorgiva, che «zampilla per la vita eterna». Ogni giorno, dopo che ci siamo alzati alla mattina, siamo subito alla ricerca faticosa di un’acqua che dura poco, che ci disseta per poco tempo: gli affetti, il piacere, il lavoro e la carriera, gli hobbies, la cura della salute, e tante altre cose noi cerchiamo per avere la vita, ma la vita che troviamo finisce presto e così ogni giorno, come la samaritana, dobbiamo recarci con fatica di nuovo a quei pozzi.
L’incontro con Gesù e l’accoglienza alla sua persona, che avvengono nella fede e sono alimentati dalla preghiera, ci permettono di attingere a un’altra forza vitale che è lo Spirito Santo; con lui abbiamo la vita eterna. Il vangelo di Giovanni, quando parla di vita eterna, usa sempre l’indicativo presente; la vita eterna non è, quindi, solo la vita dopo la morte, ma è una qualità di vita che possiamo sperimentare qui e ora in ragione della maturità della nostra fede. Avere la vita eterna non è un dono fine a se stesso, ma è in funzione del culto, di quel culto spirituale di cui Gesù cerca di parlare con la samaritana. «Il termine ‘spirito’ non si riferisce all’aspetto spirituale dell’uomo, nel senso dell’interiorità, dell’intimità del cuore. L’espressione ‘in spirito’ non indica una buona disposizione soggettiva […], ma la presenza dello Spirito che ha rigenerato il credente. […] Gv esprime qui ciò che dice Paolo: ‘’È lo Spirito che ci fa gridare: Abbà! Padre!’’». In che cosa consista l’adorazione a Dio in spirito e verità si chiarisce quando arrivano i discepoli e Gesù risponde che deve mangiare una cibo che loro non conoscono: «fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera». Il culto in spirito e verità consiste nel fare la volontà del Padre; per compierla e realizzare la sua opera, che è la salvezza degli uomini, è necessario per noi partecipare alla vita che anima lo stesso Signore Gesù Cristo: la vita divina, la vita eterna. Questa vita è «l’acqua viva» che possiamo ricevere da Gesù nella preghiera, attraverso i sacramenti e la partecipazione alla vita della comunità cristiana.
Secondo il Targum, la roccia da cui Dio fece scaturire per gli israeliti l’acqua nel deserto era un pozzo donato da Dio e la sua acqua era una sorgente che saliva da sola fino alla vera del pozzo. E’ quello che Gesù dice alla Samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: ‘‘Dammi da bere!’’, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Anche il pozzo per la Samaritana era un dono che Giacobbe aveva fatto al suo popolo. Il dono di Gesù è il suo Santo Spirito che mette i credenti in grado di vivere secondo la natura di figli di Dio e di compiere la Legge, non solo quella di Mosè, ma anche quella rappresentata dalle indicazioni date dal Signore nel Sermone della Montagna. X. Léon-Dufour cita due testi samaritani che identificano la Legge con l’acqua e con la vita eterna: «[La Legge] è un pozzo d’acqua scavato da un profeta quale non è mai sorto dal tempo di Adamo: L'acqua che vi si trova viene dalla bocca della divinità… Beviamo dunque le acque che sono nel pozzo! La sua bocca è come l’Eufrate, fa scorrere acque vive che spengono la sete di chiunque ne beve» (Memar Marqah 6,3); «Nelle acque profonde di una gradevole sorgente si trova la vita eterna; manteniamoci nella conoscenza per bere alle sue acque. Abbiamo sete delle acque della vita» (Memar Marqah 2,1). Il dono dello Spirito è l’unica sorgente in grado di soddisfare il desiderio di vita che hanno gli uomini. È l’esperienza della presenza amorevole del Padre nella vita del credente, che lo spinge ad amare Dio e i fratelli con la stessa dedizione con cui si è percepito amato da Dio. L’acqua viva permette all’uomo di nutrirsi non più delle sue voglie, ma della volontà di Dio e di realizzare non i propri progetti, ma l’opera di Dio che è l’evangelizzazione per la salvezza degli uomini.