L’ora delle tenebre: la preghiera nell’orto
di Redazione Sito ·
L'ora delle tenebre: la preghiera nell'orto
L’attesa è ormai finita, l'ora è infine giunta. La macchina infernale si è messa in movimento, impossibile ormai fermarla. I capi dei sacerdoti, i pontefici e gli scribi hanno deciso la morte del Giusto, Giuda ha lasciato prevalere nel suo cuore le tenebre, gli apostoli, ingenui e sprovveduti, non capiscono che cosa sta per accadere al loro Maestro, nonostante i ripetuti accenni alla Passione, la folla ha già dimenticato i tanti prodigi, i grandi miracoli, le parole sapienti.
È l'ora delle tenebre, l'ora in cui domina l'avversario, l'ora di uccidere Dio. Gesù si è ritirato nell’orto da lui tanto amato nel giardino del Getsemani, letteralmente "frantoio" in ebraico. Vuole pregare il Padre, pronto a combattere la sua ultima battaglia contro le potenze delle tenebre. Prega il Signore, immerso fra gli alberi frondosi, non come pregavano i Giudei, ritto in piedi, ma inginocchiato per terra, abbandonato alla sofferenza indicibile. Come ogni persona quando si trova di fronte alla morte, anche Gesù è in preda ad una grande angoscia, ne è attanagliato: anzi, l’evangelista Luca usa un termine sportivo, agonia, cioè lotta.
È l’ultimo combattimento contro le potenze del male, la preghiera solitaria di Gesù è infatti drammatica, tesa come in un combattimento; e il sudore è striato di gocce di sangue che colano sul suo volto, segno visibile di una fortissima tensione, di un indicibile tormento. È da solo il Signore in quest’ora che precede la morte: i tre discepoli che ha portato con sé sono vinti dalla stanchezza, non comprendono la gravità dell’ora, non riescono a vegliare. D’altronde quasi tutti, tranne uno, lo abbandoneranno presto, negando perfino di conoscerlo, prima di piangere le lacrime della contrizione.
A un certo punto un grido squarcia l’aria, sale verso l’alto, verso quel Padre provvido e amorevole che però quella sera sembra misterioso, muto, assente: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice…» (Luca 22,42), è questa l’invocazione del Figlio verso Colui che può liberarlo dalla morte, che può evitargli la sofferenza della Passione, che può salvare la sua vita dal supplizio infamante. È l’acme suprema della prova, ma questa volta dal Cielo nessuna voce verrà, nessun segno, nessun presagio.
«… Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Luca 22,42), conclude la sua invocazione Gesù, rimettendosi con ubbidienza filiale alla volontà del Padre. È questo il segno dell’adesione libera e incondizionata di Gesù al progetto di salvezza preparato da Dio prima di tutti i tempi, testimonianza della radicale unione con Colui che lo ha mandato nel mondo per testimoniare alle genti la Verità, non una verità fra le tante che l’uomo crede di possedere ma la Verità, quella che Pilato non comprenderà pur avendola di fonte e che per l’uomo rappresenta l’unica Via, Verità e Vita.
Risolto il combattimento e allontanata la tentazione del male, compare la presenza divina: «Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo» (Luca 22,43). Ormai è giunto il momento, si vedono già nella notte, solo rischiarata dal plenilunio di Pasqua, avanzare le torce delle guardie, si sente l’eco lontano, nel silenzio immoto, dei passi e delle voci della turba. C’è giusto il tempo di svegliare ancora una volta i discepoli addormentati: «È venuta l'ora: ecco, il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino» (Marco 14,41-42). Tutte le profezie si compiranno, tra meno di un giorno, sulla brulla cima di un altro colle, il Golgota.
Luca T.