Cento anni dall’assassinio di don Minzoni: una testimonianza ancora attuale
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
Cento anni dall'assassinio di don Minzoni: una testimonianza ancora attuale
Ricorre oggi il centenario della scomparsa di don Giovanni Minzoni, il sacerdote ravennate ucciso dai fascisti in questo stesso giorno nel lontano 1923 a causa del suo impegno concreto e assiduo nell'annuncio del Vangelo. Al pari di altri presbiteri, come don Lorenzo Milani e don Tonino Bello, altre due importanti figure delle quali celebriamo in questo anno i rispettivi centenari, anche don Giovanni aveva capito che la Chiesa doveva cambiare radicalmente, abbandonare lo stile prettamente clericale che l’ha contraddistinta lungo tutto il secolo scorso, tornare alle origini per sapere ancora parlare agli uomini e alle donne del mondo contemporaneo.
Don Giovanni esercitò la sua missione in una terra tradizionalmente socialista e repubblicana; lo fece sempre con ardore, senza mai sminuire la forza della Parola di Dio, annunciando con coraggio e senza timore alcuno la bellezza dell'amore di Dio che ci rende preziosi al suo cospetto in quanto figli dello stesso Padre. Nato in una famiglia medio-borghese, don Giovanni studiò in seminario e nel 1909 fu ordinato prete. L'anno seguente fu nominato cappellano ad Argenta, borgo da cui partì nel 1912 per studiare alla Scuola sociale di Bergamo, dove si diplomò. Ammirato per il suo coraggio e per la sua volontà di collaborazione e di dialogo con il proletariato contadino, allo scoppio della Prima guerra mondiale fu inviato al fronte come cappellano militare. Chiamato alle armi nell'agosto 1916, aveva chiesto di poter svolgere il suo servizio come cappellano tra i giovani militari al fronte e, in un momento molto critico della battaglia del Piave, aveva dimostrato tale coraggio da meritare la medaglia d'argento.
Al termine del conflitto tornò ad Argenta, dove nonostante la sua adesione al Partito Popolare Italiano divenne fraterno amico del sindacalista socialista Natale Galba, ucciso dalle camicie nere nel 1923: questo e molti altri episodi lo convinceranno a disprezzare il fascismo. Alle numerose iniziative in campo sociale egli aggiunse un'adesione entusiasta al cooperativismo di ispirazione cristiana, mettendosi contro il regime fascista che invece sosteneva il corporativismo. Poco dopo don Minzoni rifiutò energicamente l'istituzione dell'Opera nazionale balilla ad Argenta, preferendo educare in prima persona i giovani del paese: grazie all'incontro con don Emilio Faggioli, già fondatore nell'aprile del 1917 del gruppo scout Bologna I, e poi assistente regionale dell'Emilia-Romagna, don Minzoni si convinse della validità del metodo scout, per cui decise di fondare un gruppo scout nella propria parrocchia. Ormai inviso al governo mussoliniano per la sua opposizione al nascente regime, la sera del 23 agosto 1923 venne ucciso a bastonate da alcuni squadristi facenti capo all'allora comandante generale della Milizia, il quadrumviro Italo Balbo.
Don Giovanni fu prete fino in fondo, pastore d’anime, in virtù della sua fede forte in Dio, Padre giusto e buono. Fu soldato, forte e coraggioso, sempre pronto a soccorrere, a confortare, a consolare nell'immane tragedia della Grande Guerra, dimostrando ardente patriottismo e pietà cristiana. Fu entusiasta pioniere dello scautismo, intuendo in quella forma di aggregazione una nuova via per la Chiesa, di cui volle fare una pietra angolare del programma di ricostruzione morale che voleva realizzare nella sua parrocchia: "Casa-scuola-governo sono senza autorità e senza spirito di riflessione e di responsabilità. Il materialismo ha soppresso lo spirito, quindi la coscienza, quindi l’osservazione. Si va pazzamente, il creato è muto, la giovinezza passa con un’incoscienza spaventosa. Ecco un nuovo ordine direi religioso: lo scautismo. Risale alle fonti della vita. Mens sana in corpore sano: cura lo spirito, poi il fisico. Disciplina in modo sorprendente le giovani coscienze... ". Fu uomo di opere, costruttore di opere: il museo a lui dedicato ne ripercorre l'impegno per i giovani e per il mondo del lavoro. Promosse, come detto prima, la costituzione di cooperative di ispirazione cattolica tra i braccianti e le operaie del laboratorio di maglieria, il doposcuola, il teatro parrocchiale, la biblioteca circolante, il ricreatorio.
Fu soprattutto un martire dei tempi moderni, testimone infaticabile fedele del Signore, pronto a tutto per svolgere in modo fedele la missione che la Chiesa gli aveva affidato. Aveva grandi capacità organizzative. Era cordiale, schietto, così lo dipingeva chi lo ha conosciuto. Grande fu il fascino spirituale che esercitava sulle persone. Era deciso e franco. Una franchezza che lo portava a manifestare apertamente il suo dissenso verso il fascismo. Nel suo testamento lo aveva scritto: "Ci prepariamo alla lotta tenacemente e con un'arma, che per noi è sacra e divina, quella dei primi cristiani: preghiera e bontà. Come un giorno per la salvezza della patria offersi tutta la mia giovine vita, felice che a qualche cosa potesse giovare, oggi mi accorgo che battaglia ben più aspra mi attende. Ritirarmi sarebbe rinunciare ad una missione troppo sacra. A cuore aperto, con la preghiera che spero mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo".
In questa stessa sera di cento anni fa, in un agguato vigliacco, don Giovanni veniva massacrato a bastonate e, dopo una breve agonia, rese l'anima al Padre. "Sacerdote esemplare e uomo libero" - si legge nella targa apposta sul luogo in cui fu ucciso. La sua colpa? Aver contrapposto il modello educativo della Chiesa a quello del regime, facendo assurgere a valore fondamentale la dignità della persona, promuovendo la cultura del popolo. Era convinto che la Chiesa avrebbe dovuto aggiornare metodi e contenuti. In sintonia con quanto scritto da papa Leone XIII nella Rerum Novarum, aveva proclamato e rivendicato giuste paghe e condizioni umane per i lavoratori, denunciando le storture del capitalismo e del socialismo. Le ripetute e chiare denunce di prevaricazione, di violenza, di intimidazioni, di leggi liberticide nei confronti della dittatura fascista, l'impegno costante per la giustizia sociale e per la costruzione di una società a dimensione umana, non furono più tollerate dal regime.
Proprio quest'anno, nella felice occasione del centenario del martirio, il Dicastero delle Cause dei Santi ha concesso il nulla osta per l'avvio della causa di beatificazione e canonizzazione di questo fulgido esempio di pastore di anime che, confortato dall'esempio di Cristo, seppe bere fino in fondo il proprio calice nel nome della difesa del proprio gregge e della realizzazione del Regno di Dio in questa terra.
Luca T. & Luciano Casolini