I piacentini e il futuro duca Alessandro Farnese nella storica giornata di Lepanto (7 ottobre 1571)
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
I piacentini e il futuro duca Alessandro Farnese nella storica giornata di Lepanto (7 ottobre 1571)
Il 7 ottobre è … un giorno di ringraziamento commemorato nel calendario della Chiesa, non soltanto perché i santuari d’Europa e i loro altari furono salvati dalla totale distruzione, ma anche perché le preghiere ordinate dal Papa San Pio V, diedero universalmente un grande tributo alla vittoria. Quel giorno ci ricorda il grandissimo reale aiuto che Noi, successori di quel Pio, possiamo offrire ai difensori dei diritti di Dio e dell’uomo. (Pio XII, 7 ottobre 1947)
Questa citazione di papa Pio XII ci ricorda che, come già fu per Poitiers (ottobre 732) e come poi sarà per Vienna (settembre 1683), la battaglia navale di Lepanto fu fondamentale per arrestare l’espansionismo dei musulmani verso l’Europa. E tutte e tre queste vittorie vennero imputate, oltre al valore dei combattenti, anche e soprattutto all’intervento divino che soccorse le schiere cristiane.
La battaglia di Lepanto si svolse nel corso della guerra di Cipro. Era il 7 ottobre 1571 quando le flotte musulmane dell’Impero ottomano si scontrarono con quelle cristiane della Lega Santa, che riuniva le forze navali della Repubblica di Venezia, dell’Impero spagnolo (con il Regno di Napoli e di Sicilia), dello Stato Pontificio, della Repubblica di Genova, dei Cavalieri di Malta, del Ducato di Savoia, del Granducato di Toscana e del Ducato di Urbino, federate sotto le insegne pontificie.
Tra i protagonisti di Lepanto non si può evitare di ricordare il duca Alessandro Farnese, terzo duca di Parma (1586-1592), ma soprattutto uno dei più grandi condottieri del XVI secolo. Alessandro Farnese, figlio di Ottavio, secondo duca di Parma, e di sua moglie Margherita d’Austria, figlia naturale, in seguito riconosciuta, dell’imperatore Carlo V, non mise mai piede nei suoi domini una volta divenuto duca nel 1586, perché trascorse gran parte della sua vita al servizio del Regno di Spagna come governatore delle Fiandre, dove si guadagnò una fama di grande stratega e di abile condottiero riconosciuta in tutta Europa. A quell’epoca quei territori erano un possedimento spagnolo: da anni erano dilaniati dai conflitti religiosi tra cattolici e protestanti, ma Alessandro diede prova di essere un governante saggio e moderato, cercando pervicacemente la pace in un tempo segnato dalle guerre e dalla brutalità.
Nel 1571 il futuro duca era ancora molto giovane (aveva appena 25 anni) e soprattutto non si era ancora distinto sui campi di battaglia come capo militare. Alessandro aveva vissuto la propria giovinezza alla corte di Spagna, come ostaggio del nonno materno, l’imperatore Carlo V, che nel 1547 era stato mandante dell’assassinio del nonno paterno di Alessandro, il primo duca della dinastia farnesiana, Pierluigi Farnese. Alla corte di Madrid Alessandro conobbe suo zio, don Giovanni d’Austria, figlio naturale di Carlo V e futuro comandante supremo della flotta combinata della Lega Santa, di cui divenne ben presto amico fraterno anche perché i due erano quasi coetanei. Malgrado l'opposizione del duca Ottavio, che non vedeva volentieri il figlio servire in posizione subordinata un sovrano straniero, Alessandro si mise a disposizione dello zio, don Giovanni, in vista della campagna nel Mediterraneo orientale.
Dopo aver radunato intorno a sé numerosi esponenti di nobili famiglie parmensi e piacentine, il giovane Farnese partì con un primo piccolo contingente che si unì alle milizie spagnole, imbarcandosi a Genova il 26 luglio 1571, cui seguirono altre truppe che si imbarcarono alla Spezia nel successivo mese di agosto. Il contingente parmense era formato da 82 gentiluomini e 300 soldati ducali, che componevano la guardia personale di Alessandro. A comandarla era il marchese perugino Paolo Vitelli, luogotenente generale del Ducato di Parma, che era affiancato dai più grandi nomi della nobiltà piacentina e parmense: Paolo Emilio e Carlo Scotti, Alessandro Marazzani, Alessandro Anguissola, Camillo Anguissola, Pier Francesco Malaspina, Giovanni Scotti, Pier Francesco Nicelli, Alessandro Sanvitale, Cosimo Masi, Servilio e Antonio Mentovani. Compito degli uomini al seguito del Farnese non era certo quello di governare le navi (una o due delle galee genovesi erano state appositamente appaltate al Ducato di Parma e Piacenza), ma essi erano invece imbarcati alla stregua di fanteria di marina, da utilizzare nel corso dei combattimenti corpo a corpo durante gli abbordaggi, nella fase più sanguinosa della battaglia.
A causa della diversità delle componenti della flotta cristiana e delle tante invidie e gelosie esistenti fra i vari comandanti e ammiragli, ben presto iniziarono a crearsi numerose difficoltà di convivenza. Tali difficoltà erano accentuate dal fatto che anziani ed esperti ammiragli erano costretti a stare alle dipendenze di un ventiquattrenne con poca esperienza marinaresca. Il 1º ottobre la situazione esplose. Se Alessandro non fosse riuscito a placare l'ira dello zio don Giovanni e a ristabilire l'ordine tra gli ammiragli, soprattutto quelli veneziani, la flotta spagnola e quella veneziana sarebbero giunte ad uno scontro. Per questo intervento Alessandro venne personalmente elogiato dal papa stesso, San Pio V, grande promotore dell’alleanza.
Soltanto sei giorni dopo questo avvenimento, il 7 ottobre 1571, la flotta cristiana e quella turca si scontrarono nelle acque del golfo di Lepanto, in Grecia, in una delle battaglie navali più note della storia. Lo scontro fu violentissimo ma Alessandro ebbe modo di distinguersi ancora una volta per il suo coraggio, il suo spirito di iniziativa, la sagacia e la perizia militare. Il futuro duca di Parma, assieme ed Ettore Spinola, ebbe il comando di tre galere posizionate al centro dello schieramento cristiano. La galea genovese sulla quale era imbarcato il rampollo della dinastia farnesiana era la Capitana, ossia l’ammiraglia delle 27 navi genovesi, fu attaccata contemporaneamente non da una sola ma da ben tre navi nemiche. Alessandro si lanciò da solo all’arrembaggio della più grossa di queste, facendosi strada combattendo col suo spadone a due mani. All’inizio lo seguiva soltanto uno dei suoi uomini, il valoroso soldato spagnolo D'Avalos, ma ben presto il coraggio del loro comandante spinse anche gli altri soldati a gettarsi nella mischia. Alla fine, dopo che la nave avversaria fu conquistata, si scoprì che si trattava dell’ammiraglia di Mustafà Esdey, sulla quale era conservato addirittura il tesoro del sultano turco. E non fu la sola: una seconda imbarcazione turca venne arrembata con successo da Alessandro e dai suoi uomini.
L'esito della battaglia, per l'incontenibile gioia del grande papa San Pio V che con instancabile tenacia e incrollabile fede aveva promosso l’unione dei principi cristiani, fu favorevole alla Lega Santa, che sbaragliò la flotta turca, assai più numerosa di numero, liberò 15.000 schiavi cristiani impiegati come rematori e pose termine all'espansionismo turco. Che la vittoria a Lepanto non fosse solo dovuta all’«intelligentissima prudentia» dei generali, alla «destrezza dei capitani» e al «valore dei gentiluomini e soldati nell’essequire» fu intuita dal Senato della Serenissima Repubblica di Venezia che, nella sala delle sue adunanze, volle apporre un’epigrafe in ricordo di quell’evento. In italiano suona così: «Non il valore, non le armi, non i condottieri, ma la Madonna del Rosario ci ha fatto vincitori».
Luca T.