Il beato Carlo Acutis e le sue parole: un insegnamento per la vita
di Redazione Sito ·
Il beato Carlo Acutis e le sue parole: un insegnamento per la vita
Imparando a conoscere un po’ meglio il beato Carlo Acutis, del quale la Chiesa celebra oggi la memoria liturgica, si può facilmente notare come nella sua breve esistenza egli non abbia mai cessato di ricercare il bello, il vero e il bene in tutte le persone che incontrava sul suo cammino. Animato da una fede sincera e profonda, Carlo era un suscitatore di entusiasmo, un cercatore di armonia, un discepolo della carità. È per questo che la sua figura è così attuale e immediata: è per questo che tanti ragazzi e giovani riescono facilmente a rispecchiarsi in lui.
A volte la vita può essere breve, segnata dalle difficoltà ed è per tutti fragile, ma Carlo era intimamente convinto che essa andava vissuta nella sua pienezza, senza mai sprecarla, uscendo da sé stessi, dai propri bisogni e dai propri desideri per farsi tutto a tutti. Ripeteva spesso: «Non io ma Dio», una frase breve ma che racchiude in sè una "rivoluzione copernicana", per indicare che aveva ben compreso la necessità di una vita capace di decentrarsi, che usciva da sé per incontrare e mettere finalmente al primo posto l’Altro, conoscendo l’amore di Dio attraverso l’amore per il prossimo.
Non aveva paura di andare controcorrente Carlo, senza calcoli ma con spontaneità, di testimoniare la necessità di essere sé stessi davanti al proprio creatore e Signore. Gli piaceva ripetere: «Tutti nascono come degli originali, ma molti muoiono come fotocopie», una frase giustamente divenuta famosa. Aveva capito che bisogna sapere dove indirizzare lo sguardo, che deve essere sempre rivolto verso l’alto, perché: «La tristezza è lo sguardo rivolto verso sé stessi, la felicità è lo sguardo rivolto verso Dio».
Carlo aveva capito ben presto che per vivere in pienezza e verità il Vangelo bisogna tornare all’essenziale, che era necessario fuggire il peccato, scordare il vizio, sconfiggere le tante paure che, come catene, tengono prigioniero l’uomo e gli impediscono di essere vero figlio amato dal Padre. Non poteva fare a meno di domandarsi: «Perché gli uomini si preoccupano tanto della bellezza del proprio corpo e non si preoccupano invece della bellezza della propria anima?». Lui aveva trovato fin da piccolo la risposta a questo quesito.
La fede di Carlo nell’Eucarestia era incrollabile. È diventata famosa la sua frase: «L’Eucaristia è la mia autostrada per il Cielo!». Dagli scritti e dalle riflessioni lasciateci da Carlo, notiamo subito come per lui l’Eucaristia sia anzitutto il «sacrificio» di Dio in favore dell’uomo, il sacrificio che realizza la salvezza. È questa convinzione che lo rende capace di vedere il mondo con gli occhi stessi di Dio.
È tutta espressa in questa frase il grande amore che Carlo nutriva per l’Eucarestia: «Più Eucaristie riceveremo e più diventeremo simili a Gesù e già su questa terra pregusteremo il Paradiso». Una certezza incrollabile che lo sosterrà e lo conforterà nel tempo della prova, della malattia. Per Carlo la ricetta non è difficile: «si va diritti in Paradiso, se ci si accosta tutti i giorni all’Eucaristia».
L’Eucaristia, che significa «ringraziamento, rendimento di grazie», per Carlo si fa concreta attraverso due significati: quello della comunione e dell’adorazione. Attraverso l’adorazione Carlo viveva il Mistero del vero Dio fattosi vero uomo. Nel silenzio e nella preghiera, nell'adorazione del Santissimo Sacramento, egli sperimentava il più grande e sublime dei misteri e aveva la percezione profonda di Dio.
Carlo viveva così in pienezza quell’Amore che appaga e affascina, che eleva e mai non stanca, che trasforma profondamente la vita di chi ne viene toccato. Ed è proprio da quest’amore, da questa forza che scaturisce dall’adorazione, che Carlo comprese che il corpo del Signore non è solo racchiuso nel tabernacolo e nell’Eucarestia, ma che lo si può trovare nelle persone che s’incontrano nella vita di ogni giorno, specialmente in quelle scartate e dimenticate dai più: i poveri, i piccoli, gli ammalati, gli stranieri, gli anziani, gli esclusi e le persone sole. È a loro che Carlo si fa dono con l’ascolto, le parole, la carità, l’amicizia.
È così che Carlo riusciva a tramutare la carità in gesti concreti, semplici e immediati. Tra i banchi di scuola difendeva i deboli, camminando per strada guardava negli occhi i poveri, parlava con loro, diveniva loro amico, utilizzava i propri risparmi per donare loro piccole grandi cose, necessarie per la sopravvivenza. Saranno proprio quei poveri, quegli ultimi che sono poi il tesoro più grande della Chiesa, quelle persone che gli altri a malapena scorgono, che nel giorno dei suoi funerali si accalcheranno per dare a Carlo l’estremo saluto. Si sa, il seme che muore produce molto frutto...
Carlo non smise mai di camminare e seguire il Signore neppure quando il suo corpo era segnato dalla malattia. Lo aveva previsto del resto: «Morirò giovane». Non temeva la morte il giovane Carlo: era sereno e la accolse come una sorella, come cantava quel Francesco di Assisi che lui venerava così tanto. Poteva ben dire con semplicità, senza vanto: «Muoio felice perché non ho mai sprecato un minuto della mia vita in cose che non piacciono a Dio».
Quella di Carlo è stata un’esistenza breve come un volo di farfalla, ma il suo breve volo ha squarciato la notte come fanno i raggi del sole nascente, raggi capaci di scaldare il cuore, di ridestare l’entusiasmo, di scuotere dal torpore. E la vita di Carlo, per tanti giovani che hanno conosciuto la sua vicenda, è stata davvero uno di questi raggi di sole, anzi la luce splendente di un fulmine che illumina il cammino, vince il buio e conduce a quella Stella del Mattino che non conosce mai tramonto, permettendoci di non aver paura di scoprire cosa c’è realmente oltre la notte della vita.