Don Bosco agli onori degli altari: quel miracolo “piacentino” per la beatificazione
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
di Luca T. – 31 Gennaio 2024
La strada per diventare Santi è certamente lunga, e molte volte anche faticosa. Anche se il Signore ci ha assicurato “che il suo giogo è dolce e il suo carico leggero”, non sempre noi uomini riusciamo a metterci sulla strada che Egli e i tanti credenti che sono vissuti prima di noi ci hanno indicato con il loro esempio di virtù e santità.
Ma se già è difficile diventare Santi, molto di più lo è se si deve essere riconosciuti come tali dalla Chiesa, che è sempre comprensibilmente prudente e attenta quando deve elevare qualcuno agli onori degli altari, anche se la fama di santità, le opere compiute e il giudizio del popolo di Dio a volte quasi lo reclamano.
È stato così anche per la grande figura di Santo e sacerdote che la Chiesa celebra quest’oggi, mercoledì 31 gennaio, don Giovanni Bosco. Egli venne proclamato beato da papa Pio XI il 2 giugno 1929 in una solenne cerimonia nella basilica vaticana e santo dal medesimo pontefice il 1° aprile 1934, domenica di Pasqua, in chiusura dell’Anno Santo straordinario della Redenzione.
Papa Ratti aveva avuto modo di conosciuto di persona don Bosco molti anni prima, nell’autunno del 1883, quando era ancora un giovane sacerdote. Il futuro pontefice andò a far visita a don Giovanni e al suo Oratorio, a Valdocco, dove si fermò due giorni. Quei pochi giorni trascorsi con il Santo furono per il Pontefice della Conciliazione quasi un vanto: a lungo si ricordò di questo incontro COSì speciale.
Come dicevamo, ci vuole però (quasi sempre) un miracolo per diventare santi, un segno dell’approvazione soprannaturale da parte di Dio, che ratifica il giudizio umano dato dalla Chiesa sulla santità di vita, sull’esercizio eroico delle virtù cristiane o del martirio di chi è promosso alla beatificazione o alla canonizzazione.
Il processo di canonizzazione si può paragonare ad una vera seduta di tribunale, dove una parte difende la memoria del venerabile, l’altra, il cosiddetto “avvocato del diavolo”, espone motivazioni contro la santificazione. Nel caso di Don Bosco le obiezioni esposte furono “l’astuzia” proverbiale del sacerdote, il sospetto che avesse “plagiato” i suoi ragazzi ma anche la disobbedienza nei confronti del vescovo di Torino, monsignor Gastaldi. Tutte queste argomentazioni furono ben presto accantonate, anche grazie alle parole di Pio XI in persona che non mancò di dichiarare: “Noi siamo con profonda compiacenza tra i più antichi amici personali del venerabile Don Bosco”.
Pochi forse però sanno che il miracolo che spianò a don Bosco la via verso gli onori degli altari vide coinvolta una Piacentina, la ventitreenne Teresa Callegari, nativa di Castel San Giovanni, che fu protagonista di una guarigione miracolosa proprio grazie all’intercessione del Santo patrono della Gioventù.
Così viene ricordato quest’episodio miracoloso nel volume Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco, di cui fu autore un sacerdote salesiano, don Giovanni Battista Lemoyne.
La ventitreenne Teresa Callegari nel novembre 1918 fu colta da polmonite influenzale. Fatta ricoverare dal dottor Minoia nell’ospedale, guarì dalla polmonite; ma durante la convalescenza la prese una forte dolorabilità al ginocchio sinistro con tumefazione, versamento di liquido articolare e anchilosamento. La febbre saliva abitualmente a 38 gradi. Poi l’attacco infiammatorio si estese al ginocchio destro e alle articolazioni dei piedi e al braccio. Si annunciava così la poliartrite infettiva.
Per sei mesi l’inferma, condannata all’immobilità, dolorò atrocemente. Alla malattia articolare si aggiunsero allora gravi complicazioni, come catarro gastro – intestinale, disturbi vescicali con impotenza a emettere urina, stitichezza e in conseguenza una forte emorragia, che ne prostrò ancor più le forze. Inoltre dolori alla regione sacro – lombare estendentisi alle cosce la costringevano a stare sempre supina. Poi alla spina dorsale in corrispondenza della parte bassa, all’altezza della terza vertebra lombare, comparve una tumefazione grossa quasi come una noce.
Sul finire del 1919 le condizioni presentarono un miglioramento relativo; ma la poliartrite, cronicizzatasi nell’anchilosi del ginocchio sinistro e alla colonna vertebrale, durava immutata.
Nel gennaio dell’anno dopo i dolori si riacuirono violenti. Le cure del dottore Miotti le procurarono qualche sollievo nei mesi estivi; ma con l’ottobre si andò di male in peggio con maggior difficoltà di alimentazione, vomiti, spasimi di stomaco e diarrea. Il gennaio 1921 le apportò catarro bronchiale diffuso, enterocolite cronica ribelle a ogni cura e infine stato di marasma per l’impossibilità di nutrirsi. Il caso, a giudizio dei sanitari, doveva considerarsi ormai come disperato.
Le cose erano a questo punto, quando un’amica suggerì all’ammalata di fare una novena a Don Bosco, al che la esortò pure la Suora assistente. Piena di speranza, Teresa ne parlò al curato Don Zanelli, che le disse di cominciare subito. Fece la novena, ma senz’alcun miglioramento; onde la meschina, convinta di non poter più guarire, pregava Don Bosco che almeno le ottenesse di fare presto una buona morte.
In luglio Don Zanelli volle che cominciasse con fede una seconda novena. La sera dell’ottavo giorno, 16 luglio, Teresa si sentiva così male, che le Suore la credettero prossima alla fine. Alle quattro del 17, dopo una notte insonne, volgendo lo sguardo dalla parte del comodino, vide avanzarsi un prete, di media statura, con le braccia incrociate, capelli neri ricciuti e occhi neri. Egli, posatale una mano sulla fronte e appoggiata l’altra sul comodino, le domandò come stesse. A una sua esclamazione di angoscia: – Alzati! – le disse con tono imperioso. Scusandosi essa per l’impossibilità: – Búgia le gambe – le soggiunse in piemontese. La donna non conosceva quel dialetto; ma, sentendo “gambe” indovinò esattamente il significato della frase, che voleva dire: – Muovi le gambe. – Ci si provò senz’altro e le mosse una dopo l’altra liberamente e senza dolore; così pure piegò i ginocchi. Tosto chiamò la Suora, gridando che era guarita. La Suora, credendo che impazzisse, venne di corsa. – Piano, le raccomandò Teresa, che non urti Don Bosco! – A tali parole Don Bosco sorrise. Ella di Don Bosco non aveva mai visto nessun ritratto; ma poiché lo pregava da parecchio, non dubitò punto che il prete fosse lui. In quella Don Bosco, alzando le mani con le palme a lei rivolte e indietreggiando sorridente, sparì come per entro a nebbia.
Tutto questo le avvenne non in sogno, ma in piena veglia. Durante l’apparizione la vista, assai debole prima e confusa, le si era andata schiarendo, sicché dopo distingueva nettamente gli oggetti. Buttò dunque via le coperte, scese dal letto e in quattro salti fu nella stanza vicina da una sua amica per portarle la lieta notizia. Quindi mosse incontro alle Suore, che scendevano allora nella corsia e si dirigevano attonite verso di lei. Le altre ammalate, non credendo ai loro occhi, le si erano avvicinate in camicia e la tastavano per convincersi della realtà. Essa non aveva proprio più niente. L’indomani lo confermò il dottor Miotti dopo una minuziosa visita.
La guarigione di Teresa fu subito riconosciuta come miracolosa anche dai medici curanti, tra cui il dottor Miotto, e la sua natura fu confermata anche durante il processo apostolico dai dottori Ghisolfi e Fermi e, successivamente, dai dottori Chiays, Sympa e Stampa. Tutti testimoniarono che quella guarigione non aveva alcuna spiegazione scientifica.
Il processo di beatificazione di don Bosco, aperto fin dal 1890, solo due anni dopo la sua scomparsa, si concluse nel 1929, quando il 19 marzo la Chiesa con un decreto ufficiale riconobbe come miracolosa la guarigione di Teresa, perché essendo istantanea, completa e definitiva, non appariva scientificamente spiegabile.Nel frattempo, al sacerdote torinese era stata attribuita anche la guarigione miracolosa di Suor Provina Negro, delle Figlie di Maria Ausiliatrice.