Sant’Antonio il Grande: il racconto della sua vocazione
di Redazione Sito ·
a cura di Luca T. – 16 Gennaio 2024
Sono davvero molti, se ci riflettiamo un momento, i personaggi del passato che hanno meritato il titolo di Magno, ossia di Grande: possiamo citare senza difficoltà condottieri, imperatori, papi, sovrani, filosofi, anche santi… ma ben poche di queste figure potrebbero essere paragonate ad Antonio abate detto a sua volta il Grande, considerato il padre dei monaci e il fondatore del monachesimo cristiano.
Semplice e nascosta, se vogliamo dire è così, è la vita di Antonio, vissuto in Egitto quasi duemila anni fa, eppure molto grande è la fama di santità che avvolge oggi come allora la figura di questo eremita, potente taumaturgo e implacabile avversario del maligno, per una schiera di devoti che di secolo in secolo ricorrono alla sua potente intercessione.
«Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dona ai poveri,… poi vieni e seguimi!»(Matteo 19,21). Queste parole, l’invito di Gesù al giovane ricco, ascoltate a poco più di vent’anni, furono per Antonio il segno della vocazione alla vita religiosa.
Dopo averle accolte nel suo cuore, Antonio non indugiò oltre e si ritirò come eremita nell’Alto Egitto. Presto avvertì però i tanti pericoli che in tale solitudine incombono su chi non vi è preparato; per questo si fece iniziatore di una forma monastica nella quale la vita comune, la preghiera, la guida di un superiore e la carità fraterna sono mezzi di santificazione più sicuri che non certe pratiche austere della vita eremitica.
Poco o nulla sapremmo oggi della vita di Antonio abate se non fosse per il suo discepolo Atanasio, poi divenuto vescovo di Alessandria, che lo conobbe personalmente, ne rimase così affascinato che ne scrisse una vita «preoccupato della verità considerando che, nel narrare di un così grande uomo, il molto potrebbe generare incredulità, il poco potrebbe indurre al disprezzo» (Vita, prologo). Proprio dal racconto di Atanasio, a sua volta divenuto un grande santo, riportiamo un brano in cui si descrive come Antonio maturò la sua vocazione semplicemente ascoltando la Parola di Dio.
Dalla «Vita di sant’Antonio» scritta da sant’Atanasio, vescovo.
Dopo la morte dei genitori, lasciato solo con la sorella ancora molto piccola, Antonio, all’età di diciotto o vent’anni, si prese cura della casa e della sorella. Non erano ancora trascorsi sei mesi dalla morte dei genitori, quando un giorno, mentre si recava, come era sua abitudine, alla celebrazione eucaristica, andava riflettendo sulla ragione che aveva indotto gli apostoli a seguire il Salvatore, dopo aver abbandonato, ogni cosa. Richiamava alla mente quegli uomini di cui si parla negli Atti degli Apostoli, che, venduti i loro beni, ne portarono il ricavato ai piedi degli apostoli, perché venissero distribuiti ai poveri. Pensava inoltre quali e quanti erano i beni che essi speravano di conseguire in cielo. Meditando su queste cose entrò in chiesa, proprio mentre si leggeva il vangelo, e sentì che il Signore aveva detto a quel ricco: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mt 19, 21).
Allora Antonio, come se il racconto della vita dei santi gli fosse stato presentato dalla Provvidenza e quelle parole fossero state lette proprio per lui, uscì subito dalla chiesa, diede in dono agli abitanti del paese le proprietà che aveva ereditato dalla sua famiglia — possedeva infatti trecento campi molto fertili e ameni — perché non fossero motivo di affanno per sé e per la sorella. Vendette anche tutti i beni mobili e distribuì ai poveri la forte somma di denaro ricavata, riservandone solo una piccola parte per la sorella.
Partecipando un’altra volta all’assemblea liturgica, sentì le parole che il Signore dice nel vangelo: «Non affannatevi per il domani» (Mt 6,34). Non potendo resistere più a lungo, uscì di nuovo e donò anche ciò che gli era ancora rimasto.
Affidò la sorella alle vergini consacrate a Dio e poi egli stesso si dedicò nei pressi della sua casa alla vita ascetica, e cominciò a condurre con fortezza una vita aspra, senza nulla concedere a se stesso.
Egli lavorava con le proprie mani: infatti aveva sentito proclamare: «Chi non vuol lavorare, neppure mangi» (2 Ts 3, 10). Con una parte del denaro guadagnato comperava il pane per sé, mentre il resto lo donava ai poveri.
Trascorreva molto tempo in preghiera, poiché aveva imparato che bisognava ritirarsi e pregare continuamente (cfr. 1 Ts 5, 17). Era così attento alla lettura, che non gli sfuggiva nulla di quanto era scritto, ma conservava nell’animo ogni cosa al punto che la memoria finì per sostituire i libri. Tutti gli abitanti del paese e gli uomini giusti, della cui bontà si valeva, scorgendo un tale uomo lo chiamavano amico di Dio e alcuni lo amavano come un figlio, altri come un fratello.