La Candelora, una festa di luce a quaranta giorni dal Natale
di Redazione Sito ·
di Luca T. – 4 Febbraio 2024
Quaranta giorni sono trascorsi dalla notte santa di Natale e la Chiesa, proprio al principio del mese di febbraio, che nei tempi antichi era considerato l’ultimo mese dell’anno, sente la necessità di celebrare un’altra festa di luce, quella della Presentazione di Gesù al Tempio. Ha radici antichissime e origini orientali questa celebrazione meglio nota come “Candelora”, dal latino ‘festum candelarum’ (festa delle candele), una denominazione che ha fatto fortuna in Italia e non soltanto. Introdotta in Occidente verso la fine del settimo secolo, una processione con le candele si svolgeva nella Città Eterna già nell’alto Medioevo per contrastare le antiche nostalgie pagane e le ridanciane sfilate carnevalesche che avevano luogo nel medesimo periodo per le strade dell’Urbe.
Quaranta, un numero che ricorre spesso nelle Sacre Scritture. Ed era proprio la legge di Mosè che prescriveva la presentazione del figlio primogenito e la purificazione della madre al quarantesimo giorno di vita del bambino, allo scopo di offrire il neonato al Signore e riscattare la sua vita con un’offerta da versare al Tempio. Nel caso delle famiglie più povere, come quella di Maria e Giuseppe, essa consisteva in una coppia di tortore o di giovani colombi. Non è quindi un caso che la Candelora si celebri il 2 febbraio, 40 giorni dopo il Santo Natale.
Festa di luce dicevamo quella della Candelora, come ci viene suggerito dalle parole dell’anziano vegliardo Simeone, che si rivolge al Bambino Gesù chiamandolo “luce per illuminare le genti e gloria di Israele”. Come una sentinella che ha lungo vigilato, questo servo di Dio, quest’uomo buono e giusto che attendeva la redenzione d’Israele (come un altro uomo di tal fatta lo farà alla fine della vita terrena del Cristo, Giuseppe d’Arimatea), può finalmente esultare, può finalmente gioire e godere di quell’incontro così atteso, può finalmente addormentarsi in pace nel seno dei padri. I suoi occhi hanno ormai visto la salvezza, quel Messia a lungo invocato e annunciato dai profeti d’un tempo, e Simeone grazie allo Spirito Santo può finalmente sciogliere un cantico colmo di lode e gratitudine a Dio, il Nunc dimittis.
La sapienza della Chiesa da molti secoli ha fatto diventare quest’inno parte del patrimonio della sua preghiera liturgica: esso è infatti il canto di compieta con cui si chiude il giorno, mentre scendono le tenebre della notte e l’uomo si prepara al riposo notturno. Questo inno celebra un incontro sensazionale, di quelli che solo la creativa imprevedibilità dello Spirito è in grado di realizzare, quello tra Simeone, ormai giunto alla sera della vita, e il Messia a lungo atteso, il Salvatore, che si manifesta sotto le fragili sembianze di un neonato. Non è un caso se questa festa è conosciuto sin dall’epoca remota nella Chiesa orientale come “festa dell’incontro”, “Hipapante”.
L’episodio evangelico narrato da Luca, l’unico fra gli Evangelisti a parlarne, con il rito dell’offerta del Bambino al Signore, la presenza nel Tempio del vecchio Simeone e della profetessa Anna, un’anziana vedova che serviva Dio incessantemente con digiuni e preghiere, hanno suggerito nel 1997 al Santo pontefice Giovanni Paolo II di celebrare proprio in occasione di questa festività la Giornata per la vita consacrata. È questo un modo per ricordare nella preghiera tutti i consacrati e le consacrate che il Signore ha chiamato al suo servizio, ma anche i giovani che sono in formazione e quanti il Signore chiama ancora oggi ad una vocazione di speciale consacrazione.
L’elemento che più ci colpisce di questa festa sono le candele benedette durante le celebrazioni, che sono poi portate dai fedeli nelle proprie abitazioni e in quelle di parenti e amici, dove saranno conservate con cura. Questi ceri, mirabile segno della pietà popolare, non devono divenire oggetto di superstizione ma piuttosto un segno tangibile e un invito per tutti noi ad essere testimoni coraggiosi, credenti credibili, testimoni profetici, annunziatori di un’attesa e di una presenza. Soltanto così saremo fiaccole ardenti della luce di Cristo per illuminare la notte della storia in cui si dibatte la sperduta umanità dei nostri tempi. Soltanto così potremo a nostra volta, nella nostra povera limitatezza, portare a nostra volta la luce nel mondo.









