Le stimmate di San Francesco: ottocento anni di Grazia
di Redazione Sito ·
di Luciano Casolini – 17 Settembre 2024
Il Martirologio Romano al 17 settembre rievoca: “Sul monte della Verna, in Toscana, la commemorazione dell’Impressione delle sacre Stimmate, che, per meravigliosa grazia di Dio, furono impresse nelle mani, nei piedi e nel costato di san Francesco, Fondatore dell’Ordine dei Minori”.
Con queste semplici parole la Chiesa rievoca quel fatto straordinario che ebbe ad accadere nel giorno della festa della Esaltazione della Santa Croce, a un comune mortale proprio otto secoli fa, nel 1224.
E, riflettendo con devozione, si potrebbe affermare che la Divina Onnipotenza concedette questo particolare privilegio, per la prima volta, a un comune mortale proprio al poverello di Assisi, ben dodici secoli dopo la passione, morte e risurrezione del Cristo Redentore, come se avesse voluto e dovuto attendere un lasso di tempo così ampio per concedere a una Sua creatura, che ne fosse degna, un tale prezioso dono.
Francesco, siamo due anni prima del suo passaggio alla vita eterna, era salito alla Verna, “nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno“, come scrisse Dante, per offrire all’Arcangelo Michele il digiuno e la preghiera di 40 giorni, in un momento seguente la stesura della regola per i suoi frati che per taluni aspetti lo aveva provato e ferito.
Con la semplicità e l’umiltà che furono proprie del santo, si raccolse nella contemplazione del mistero e così pregò:
“O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti priego che tu mi faccia, innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta nell’anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nella ora della tua acerbissima passione, la seconda si è ch’io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore del quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori”.
La semplicità e l’umiltà di questa supplica, nel solco della povertà tipicamente propria di frate Francesco e che lui ebbe già modo di esprimere nel Cantico delle creature, nella preghiera semplice e in tutte le sue lodi al Padre Celeste, non rimasero inascoltate e fu così che avvenne l’evento prodigioso.
Come se la mente di Dio avesse concepito e poi voluto concretizzare il segno indelebile che fra tutti i santi il più somigliante a Gesù, fu proprio il figlio terreno Francesco che meglio di tutti si era avvicinato ad attuare in vita l’amore e la povertà di spirito che il Redentore riversò verso ogni opera del Creatore.
Francesco toccò, anche nella propria carne, la sofferenza del Crocifisso e fu esaudito il suo ardente desiderio di seguire e conformarsi al Cristo, nell’essere tutto uno e unito in modo indissolubile al Figlio di Dio Crocifisso e sofferente nel Venerdì di passione.
L’amore vero e profondo che Francesco, attratto dalla povertà e dal mistero della Croce centro della conoscenza di Dio, ebbe a riversare verso il Cristo sofferente sul Sacro Legno, Quello stesso Cristo glielo aveva ridonato, impreziosito dalle Sue piaghe impresse nella carne, come Figlio prediletto e amato.
San Bonaventura da Bagnoregio, vescovo, cardinale, dottore della Chiesa, filosofo, ministro generale dell’ Ordine francescano e del quale è ricorso quest anno il settecentocinquantesimo anniversario della morte, bene ebbe a scrivere nella sua opera Legenda Major: “Il verace amore di Cristo aveva trasformato l’amante nella immagine stessa dell’Amato“.