I conduttori dei cani da traccia di Piacenza in festa per il patrono Sant’Uberto
di Redazione Sito ·
di Luca T. – 05 Novembre 2024
Nel pomeriggio di domenica 3 novembre, grazie alla consueta ospitalità accordata dal nostro parroco don Mauro Tramelli, gli amici del Gruppo Conduttori Cani da Traccia di Piacenza si sono ritrovati nella chiesa parrocchiale di Pontenure per partecipare alla Santa Messa festiva delle ore 17.00 nel giorno in cui la Chiesa celebra tra l’altro la memoria liturgica di Sant’Uberto di Liegi,venerato fin dal lontano Medioevo come il santo patrono dei cacciatori.
Il raduno, organizzato con il patrocinio del Comune di Pontenure, è stata una bella occasione per i conduttori e i loro segugi di festeggiare il Santo che ogni cacciatore che si rispetti è solito invocare con particolare fervore prima di inizare una battuta venatoria. Foltissima è stata la partecipazione degli associati, molti dei quali indossavano i tipici abiti da caccia. Grande simpatia hanno poi suscitato nei fedeli i loro insperabili amici a quattro zampe, alcuni dei quali – con molta diligenza e pazienza – hanno “ascoltato” accanto ai loro padroni la Santa Messa celebrata dal nostro parroco.
In piazza, al termine della celebrazione eucaristica, alla quale sono intervenuti anche il sindaco di Pontenure Giuseppe Carini e il comandante della stazione dei Carabinieri, luogotenente maggiore Luciano Salatino, i cani da traccia e i loro padroni hanno poi ricevuto la benedizione di rito da parte di don Mauro. Prima della benedizione, Marco Parenti, presidente del Gruppo Conduttori Cani da Traccia di Piacenza e vice presidente dello Schweisshunde Club Italia, ha letto ad alta voce la preghiera del cacciatore, nella quale si eleva a Dio il ringraziamento per la bellezza con cui ha disposto il Creato e le sue creature; lo si loda per poter svolgere la pratica venatoria; vi si ricorda il senso e il valore del sacrificio degli animali a beneficio della loro condivisione tra gli uomini.
Ad immergere tutti nella particolare atmosfera “venatoria” ha egregiamente provveduto tra l’altro una caratteristica composizione con un crocifisso posto dietro a grande trofeo di cervo deposto su un manto di rami di abete, che è stata deposta davanti all’altare, come da tradizione secolare, per ricordare l’apparizione che il giovane e nobile Uberto ebbe nella foresta delle Ardenne in un Venerdì Santo dell’VIII secolo, quando decise di andare a caccia trasgredendo al dovere della penitenza.
Non è poi troppo inconsueta la presenza del cervo nell’iconografia cristiana, in cui compare sin dagli affreschi delle catacombe, dove il riferimento più immediato è al Salmo 41: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua…», e allo stesso Cristo, vittorioso su Satana come il cervo sui serpenti. Anche l’annuale rigenerazione del palco di corna di questo mammifero è un chiaro richiamo alla resurrezione, e per questo il cervo compare spesso nei battisteri, come simbolo dei catecumeni.
Singolare è poi la leggenda che lega quest’animale a Sant’Uberto, meglio conosciuto come l’Apostolo delle Ardenne, il quale nella tradizione popolare è colui che protegge il cacciatore dagli incidenti di caccia, dal morso dei cani e dalle belve feroci, assicurandogli al contempo un carniere colmo di prelibata selvaggina. Merita perciò, secondo chi scrive, di essere brevemente ricordata.
Prima di abbandonare il secolo per servire il Signore, Uberto, che apparteneva per nascita alla dinastia reale dei Merovingi, era un guerriero che divideva il suo tempo tra l’ozio e la guerra. Egli, come quasi tutti i nobili del suo tempo, era un soldato esperto e un arciere provetto, assai versato nelle arti belliche. Tutto ciò fino all’improvvisa conversione che mutò radicalmente il corso della sua vita, avvenuta proprio mentre il futuro santo dava sfogo ad una delle sue più grandi passioni, la caccia, lo sport prediletto dai nobili del suo tempo.
Mentre era nella foresta intento ad una battuta, un cervo braccato in maniera smodata da Uberto, gli mostrò tra le corna del palco una croce luminescente e la voce del Signore gli si rivolse dicendo: “Non scordare che la vita eterna è sopra le cose di questo mondo”. Inutile dire che in seguito a questo prodigioso evento Uberto abbassò l’arco già incoccato e il cervo ebbe salva la vita. Uberto cedette il titolo nobiliare, le sue armi, le terre e tutto ciò che possedeva, ritirandosi in solitudine nelle Ardenne, regione di boschi e foreste, da dove lo trasse il suo popolo per farne dapprima il vescovo di Maastricht e poi di Liegi, in cui Uberto trasferì la sede vescovile.
È bello per noi cristiani ricordare questa chiamata a vita nuova, ricevuta da Uberto per grazia di Dio. La sua vicenda ci parla della rivelazione delle cose nascoste allo sguardo superficiale che a volte gli umani hanno per le cose essenziali. Ma anche della redenzione e della capacità dell’essere umano di migliorare e di cambiare anche radicalmente la propria vita, quando meno se l’aspetta, quando accetta di accogliere la chiamata del Signore.