C’era una volta Santa Lucia, qualche ricordo di una bambina che fu
di Redazione Sito ·
di Livia – 12 Dicembre 2024
Quasi sull’uscio dell’inverno, nella fredda notte tra il 12 e il 13 dicembre, in ampie zone del nord Italia si festeggia Santa Lucia, la vergine e martire siracusana che custodì, finché visse, la lampada accesa per andare incontro allo Sposo, meritando di accedere con lui alle nozze del cielo e di possedere la luce che non conosce tramonto.
È una di quelle feste ricche di suggestione senza tempo, che a ridosso del Natale riscaldano l’atmosfera con fiabe e doni ed è anche la storia di un viaggio che racchiude l’affascinante vicenda di una donna che porta il dono della luce, durante quella che è considerata la notte più lunga dell’anno.
Quanta attesa per questo giorno così speciale (almeno per me che scrivo, perché sono dell’altro secolo), da bambina lo aspettavo con ansia e tanta curiosità. Era una di quelle tradizioni che appartenevano al “piccolo” mondo di noi bambini e che manteneva sempre un alone di mistero.
La sera del 12 dicembre (ai miei tempi nessuno se lo dimentcava!), dopo averle lucidate per benino, le scarpe, erano le uniche che avevamo, si mettevano sul davanzale esterno di una finestra. Era nostra premura anche pensare a quell’asinello di cui Santa Lucia si serviva per trasportare i doni. Per questo accanto alle scarpe si metteva per lui un ciuffo di paglia o fieno e una ciotola d’acqua!
Prender sonno era poi un’impresa!!! La mattina seguente non c’era bisogno di essere svegliati: balzamo giù dal letto come molle e via di corsa, a perdifiato, a vedere cosa la Santa con l’asinello aveva portato…
Le mie Sante Lucie, grazie alla generosità degli zii con cui vivevo, erano sempre abbondanti, impensate. Quella di cui conservo un ricordo preciso fu quella dei sei anni. Sulla finestra non c’era più il fieno né l’acqua per l’asinello, ma un grosso pacco avvolto nella carta. Qualcuno mi aiutò ad aprirlo: c’era dentro di tutto!!
Una lavagnetta di ardesia nera con i gessi, una bella scatolina di pastelli Giotto, dei mandarini, un sacchetto di caramelle, delle matite nere e altre metà rosse e metà blu (le vedevo anche in mano alla mia maestra), una cuffia azzurra col pon-pon bianco e una calda sciarpa di lana dello stesso colore. Non ricordo di aver ringraziato la zia, le effusioni erano molto discrete a quei tempi, ci si guardava e ci si capiva senza tante moine.
E poi ricordo l’ultima, quando avevo ormai undici anni. Quella mattina sul davanzale non c’era niente. Fu una fortissima delusione! Ho ritirato in buon ordine le scarpe, senza parole, e solo quando me le sono infilate vi ho trovato dentro, insperata sorpresa, una piccola scatola blu. L’ho aperta: c’erano i miei primi orecchini d’oro, ad anello. Un bel sospiro di sollievo: Santa Lucia era venuta ancora una volta. Fu l’ultima.
Quanta sofferenza mi hanno comportato quegli orecchini! L’orefice mi fece i due buchi nei lobi delle orecchie con non so che cosa, un male cane, senza contare le successive crosticine che si formarono tutt’intorno!!!
Ho un po’ di rammarico: non so se i bambini di oggi hanno ancora occasione di poter desiderare, di aspettare con ansia sospesa qualche cosa, troppo velocemente sono appagati nei loro desideri, gli diamo tutto e subito, a volte senza neppure che essi domandino nulla. L’attesa, il desiderare, la sorpresa forse non esistono più.
Eppure, anche oggi più di qualche bimbo ripeterà quel gesto che facevo anche io in anni ormai lontani, e domattina correrà con passi lesti a vedere se la Santa è passata, illuminandosi di gioia e desiderio.