Presepi a Pontnur: il presepe nella chiesa parrocchiale di Pontenure
di Redazione Sito ·
di Luca T. – 29 Dicembre 2024
C’è poco da inventare quando si fa un presepe, anche se a volte la fantasia “galoppa” un po’. Eh sì, perchè a pensarci bene, in un presepe da inventare c’è davvero poco o nulla. In fondo la scena è sempre la stessa da quando San Francesco, il precursore di tutti i presepisti, esattamente otto secoli e un anno fa la ricreò a Greccio, desumendola dai Vangeli e anche da quanto aveva ammirato grazie ai mosaici presenti nelle basiliche di Roma. Non le stesse sono però le mani che, in tutte le epoche e i luoghi del mondo, dovunque sia giunto il nome di Cristo, le hanno dato di volta in volta forma, anzi infinite forme, filtrando con la creatività il vissuto che c’è dietro, mettendo in quella scena qualcosa di loro, della loro storia, della loro vita e soprattutto della fede che li anima.
Eh sì, della fede perché è difficile fare qualcosa se non credi in quello che stai facendo, se lo fai per dovere, cortesia o necessità, se non riesci a imprimervi dentro la scintilla del tuo essere. Come in ogni cosa del Creato risplende la gloria del Creatore di tutte le cose, anche nelle opere umane brilla per riflesso quella luce speciale che trasforma sotto svariate forme, d’arte e non soltanto, i desideri e i sentimenti più profondi dell’uomo, che il Dio che era prima di ogni tempo ha inscritto nei recessi più segreti del cuore delle sue creature.
In fondo anche fare il presepe è una forma d’arte, forse povera, forse umile, forse superata, eppure anche in essa brilla la luce del Bello, del Buono e del Vero, di tutto quello che conduce a Dio. In fondo c’è chi scrive canzoni, chi progetta palazzi, chi esplora il cosmo, tanti sono i doni e i talenti che il Signore ha donato alle sue creature. E poi c’è chi, appunto, aspetta con ansia questo periodo dell’anno per cimentarsi con muschio e sughero, e non vede l’ora di mettere il Bambinello nel posto che più gli compete.
È quello che anche quest’anno un piccolo gruppo di volenterosi, ridotto in verità davvero all’osso, ha cercato di fare nella chiesa di Pontenure attraverso questa rappresentazione sacra, pallido riflesso dell’evento che ha cambiato per sempre la vicenda e i destini dell’umanità. Malgrado le innumerevoli difficoltà, questi appassionati non hanno rinunciato a quel Segno, che poi non è altro che quello additato dall’Angelo ai pastori nella notte santa, in cui il Verbo ha abitato la carne e si è mostrato al suo popolo. «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia», ci ricorda il Vangelo di Luca. Proprio il terzo Vangelo, che nei secoli ha ispirato centinaia di artisti, è stato di guida e ispirazione ai nostri presepisti che in cinque giorni soltanto hanno allestito l’opera.
È un presepe più piccolo, meno ricco di statue e di scene, più intimo e raccolto, ma come ha detto qualcuno, con quella particolare saggezza data in sorte dal tempo che passa, è speciale “per la sua semplice grandezza”. Se è “facile” stupire con luci abbaglianti, movimenti meccanici ed effetti spettacolari, impresa assai più difficile è cercare di ridurre all’essenziale qualcosa, ridurlo per così dire ai minimi termini, lasciandolo allo stesso tempo nella sua integrale purezza, interezza e profondità. E tutto ciò per far risaltare, se possibile, ancora di più il messaggio che quella cosa porta con sé e racchiude come uno scrigno.
Alla base di tutto, almeno questo è il parere di chi scrive, vi è la fede in quel Bambino. Non vi è bisogno di altro, basta lo stupore generato da quella nascita per donare un senso particolare a tutto, alle statue, che poi sono sempre le stesse, al muschio raccolto da mani generose, alle pietre e ai rami, ai fiori finti e a quelli veri, al Bambinello pitturato di fresco per renderlo più rosa… E non un senso tra i tanti, non una verità tra tante, ma il Senso e la Verità che sono eterne e perfette, che non sono soggette alla continua revisione del pensiero dei dotti, che sfuggono alla brama dell’uomo e alla sua insopprimibile superbia.
Quel tutto che viene trasfigurato dai segreti occhi dell’anima, che sovente vedono assai meglio e più nel profondo di quelli che abbiamo in volto, e invitano alla contemplazione di quella scena attraverso il cuore, per potere finalmente far vivere quel Bambino nella nostra vita. C’è poco da inventare, dicevamo in principio, quando si fa un presepe: bastano una capanna e una greppia che accolga l’Emmanuele, Dio con noi. Basta rappresentare il mistero.
Seguono le foto realizzate con la consueta cortesia da Teresa Musial Casali, alla quale va il nostro grazie.