Santi di casa nostra – Sant’Antonio Maria Gianelli
di Redazione Sito ·
di Livia – 07 Giugno 2024
Cereta è una piccola frazione del comune di Carro, un grazioso borgo ligure, in provincia di La Spezia, abitata da campagnoli, gente povera, semplice, onesta, di grande fede come erano il padre e la madre di Antonio. La madre, donna semplice e di profonda religiosità, era tutta sollecitudine per il marito e la famigliola. Il padre eccelleva per l’onestà e soprattutto per la carità verso i poveri.
Il 12 aprile 1789, domenica di Pasqua, proprio lì a Cereta nacque un bel maschietto, sano e vispo, nonostante i timori e le preoccupazioni che prevedevano nascesse un piccolino malaticcio, con problemi di salute. La madre, infatti, proprio nell’imminenza del parto, era stata presa da una febbre così violenta, da far temere della vita del nascituro. Allora la buona donna, preoccupata più della prole che di sè stessa, chiese che fosse celebrata una messa nella cappella locale. Appena il sacerdote ebbe intonato il Gloria in excelsis, venne felicemente alla luce l’atteso figlio.
Da bambino Antonio fu un fanciullo docile, pronto all’obbedienza, attento all’ascolto della parola di Dio, amante del Rosario, che aveva imparato a recitare fin dalla più tenera fanciullezza in famiglia. Il ragazzo era dotato di un’intelligenza vivace e incline allo studio, che coltivò con passione e dedizione, alla scuola di un prevosto di un paese vicino. Furono anni duri: ogni giorno percorreva a piedi un bel tratto di strada per non mancare alla scuola, affrontando senza timore sia i disagi che le intemperie.
Meritava di proseguire gli studi, ed ecco intervenire la Provvidenza. Un’amica di famiglia, Nicoletta Rebizzo, una signora assai benestante che conosceva Antonio e ne aveva intuito il forte desiderio di farsi prete, si fece sua benefattrice, lo condusse a Genova, lo presentò al cardinale Giuseppe Spina e gli permise di entrare in Seminario. Antonio fu un seminarista modello: socievole, dal profitto eccellente, rivelò una profonda pietà eucaristica e una forte devozione alla Madonna. A soli 23 anni, il 23 maggio 1812, ricevette con anticipo gli Ordini Sacri e due anni dopo, a studi completati, fu mandato a insegnare lettere a Savona, nel collegio degli Scolopi. Nel frattempo si specializzò nella predicazione popolare e successivamente venne destinato ad insegnare retorica nel locale Seminario.
Dal 1821 al 1826, come direttore della Confraternita della Santa Croce, poté aiutare tante persone bisognose e indigenti. La cosa non sfuggì al nuovo arcivescovo mons. Luigi Lambruschini (futuro cardinale e segretario di Stato di papa Gregorio XVI) che gli affidò la parrocchia di Chiavari dicendogli: “Fate conto di intraprendere una missione non di pochi giorni, ma di dieci o dodici anni“. Agli abitanti di Chiavari l’arcivescovo Lambruschini inviò invece il seguente messaggio: “Vi mando il più bel fiore del mio giardino“.
Divenuto arciprete della cittadina ligure, don Antonio si adoperò molto e ben presto si distinse nel gruppo di cattolici che auspicavano una “seconda controriforma”, promuovendo una più adeguata formazione del clero e le missioni popolari per istruire il popolo di Dio.
In quello stesso periodo, a Chiavari nacque la “Società economica”, che manteneva un ospizio di orfanelle, la cui direzione sarà affidata da parte di don Antonio alle “Signore della Carità”. È questo il primo passo verso la fondazione della congregazione delle Figlie di Maria Santissima dell’Orto, che il popolo chiamerà “Gianelline”. Essa prenderà il via nel 1829 con dodici sue penitenti impegnate a far vita comune in una piccola casa, con lo scopo di istruire i giovani, curare i malati negli ospedali e scolarizzare le fanciulle povere.
Nel 1838, come riconoscimento di tanto zelo, don Gianelli fu eletto vescovo di Bobbio. Prima di prendere possesso della Diocesi, il nuovo pastore distribuì ai poveri i proventi che gli spettavano come arciprete di Chiavari, continuando a vivere nella semplicità e nella povertà in soltanto due piccoli locali.
Animato da fervido zelo pastorale, non appena arrivato a Bobbio indisse subito la visita pastorale, che non si faceva da 19 anni, e per tre volte percorse tutta la Diocesi, assai vasta e quasi tutta montana, correggendo abusi, favorendo la predicazione, promuovendo l’insegnamento del catechismo, sollecitando l’amministrazione dei sacramenti.
Nel suo breve periodo di episcopato, non esitò a rimuovere dalle loro cariche ecclesiastici indegni, riordinò il Seminario, curando la formazione cristiana del popolo. Visse di preghiera incessante per i peccatori facendo penitenza per la loro conversione. Tutte le sue azioni, come tutte le sue parole e i suoi pensieri, avevano lo stesso fine: “la gloria di Dio e la salvezza delle anime“, la più grande missione e il fine supremo affidato dal Signore alla sua Chiesa.
Stroncato dalle fatiche del suo incessante ministero, il futuro Santo fu ospitato per un periodo di riposo dal vescovo di Piacenza, ma si ammalò gravemente e il 7 giugno 1846 morì. Le sue spoglie si trovano nella cappella a lui dedicata sotto l’altare nella cripta presente nel Duomo di Bobbio. Fu dichiarato beato da Pio XI nel 1925 e proclamato santo il 21 ottobre 1951 da papa Pio XII. La sua memoria liturgica si celebra il 7 giugno, giorno della sua nascita al Cielo. Disse di lui il Beato Tommaso Reggio, arcivescovo di Genova:
“La sua vita può dirsi che fosse un atto continuo e perpetuo di fede, di speranza e di carità verso il prossimo. Tutte le sue azioni, come tutte le sue parole, tutti i suoi pensieri, come tutti i suoi affetti, avevano un solo e stesso principio, un solo e stesso fine: la gloria di Dio e la salute delle anime”.