Quaresima 2018, Davvero quest’uomo è il Figlio di Dio
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
Quaresima 2018, Davvero quest'uomo è il Figlio di Dio*
Introduzione al tempo di Quaresima
La più solenne proclamazione della verità che Gesù è il Figlio di Dio avviene nello scenario della più grande desolazione, e per bocca di un soldato romano.
Lo scenario: Gesù è solo, abbandonato dai suoi amici, in mano ai carnefici. Lo circonda una folle ostile, guidata dai suoi più acerrimi nemici, che lo sbeffeggiano insieme ai soldati e alle guardie. La sua fede viene messa alla prova: i nemici lo tentano, e gli suggeriscono di chiamare in aiuto Dio suo Padre. E anche da questo Padre si sente abbandonato: in una scena dominata dal male, perseguito con ostinata volontà da parte degli uomini, il Padre si ritrae in un silenzio che può sembrare un abbandono e così lo sente anche Gesù, ma solo per un momento di umana e comprensibile fragilità. È questa solitudine e abbandono che rendono ancora più tragica la scena della Croce, già di per sé carica di violenza, di odio, di ostilità senza giustificazioni (l’unico giusto è condannato e messo a morte!).
È il modo con cui Gesù rimane sulla Croce che fa dire al centurione "Davvero quest’uomo è il Figlio di Dio!". Tutto il mondo attende una prova di forza da parte del Dio onnipotente e giustiziere che tutti abbiamo in mente da sempre, da Adamo all'uomo che siamo noi. Ma Dio tace, non interviene a salvare il Figlio amato, e solo il Figlio amato è autorizzato a interpretare il silenzio del Padre: il suo ritrarsi dalla scena per lasciare spazio ancora una volta alla libertà degli uomini, una libertà piegata al male, incapace di aprirsi all'accoglienza della Sua offerta di amore, anzi ostinata nel sospetto e nel rifiuto.
Questa verità di Dio, Padre misericordioso, è tutta nelle mani dell’uomo Gesù: il Sì del Padre risuona nel Sì di Gesù, nel suo consegnarsi in mano ai fratelli, tanti piccoli e meschini Caino che ancora una volta, come sempre, eliminano il Giusto Abele. Nell'eccedenza dell’amore di Gesù (per Dio e per i fratelli) si manifesta e si realizza l’eccedenza dell’amore del Padre verso tutti i suoi figli: la Croce, anziché separare il Figlio dal Padre (e questo era ed è l’intento del separatore) unisce per sempre il Padre agli uomini nell'obbedienza del Figlio, nel suo affidarsi senza esitazioni alle mani del Padre. Tutto questo avviene nel silenzio, ma il soldato pagano riesce a leggere la parola definitiva che risuona in questo silenzio: Gesù è il Figlio di Dio, e se il Figlio muore così allora il Padre non può che essere Misericordia e Perdono. Allora è possibile tornare a Lui, pentiti e umiliati, per il risentimento, il sospetto, il male che ci hanno abitato dal momento in cui ci siamo allontanati da questo Padre.
Da questa morte, da questa Croce la salvezza e la vita! Così Gesù ha vinto il male e la morte, attraversando con fede e con speranza il duro cammino del Calvario, la sua Via Crucis che si fa Via Lucis. La luce che esplode nella notte di Pasqua non fa che confermare e ribadire quanto è avvenuto sul legno della Croce, tavola di salvezza per tutto il genere umano: Gesù ha riconciliato gli uomini col Padre, ha vinto la morte, è vivo e presente in mezzo a noi con la forza del Suo Spirito. È Lui il Signore, il Vivente, il nostro Redentore: da Lui ogni grazia e forza per il nostro cammino. Per noi, che ancora camminiamo nel deserto, nel buio, nella fatica e talvolta nel dolore, e tante volte non riusciamo a restituire al silenzio che ci circonda e ci abita la parola di verità e di vita, per noi Gesù è morto ed è risorto! È questa presenza che siamo chiamati a testimoniare, è quest’Amore sempre eccedente e sempre travolgente che dobbiamo confessare essere la Via, la Verità e la Vita per la nostra vita. Una confessione accompagnata da una sempre fragile testimonianza, che confessando la propria inadeguatezza a seguire il Signore non rinuncia a porre gesti di carità sul suo cammino: dietro a Gesù, con Gesù, mai senza Gesù il Cristo.
Dal Vangelo secondo Marco 15,16-39
Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: "Salve, re dei Giudei!". E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo. Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa "Luogo del cranio", e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese. Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: "Il re dei Giudei". Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.
Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: "Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!". Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: "Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!". E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: "Eloì, Eloì, lemà sabactàni?", che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: "Ecco, chiama Elia!". Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere , dicendo: "Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere". Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: "Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!"
Un breve commento al Vangelo
Di tutto il lungo brano della morte di Gesù, ci soffermiamo soltanto sulle parole del centurione, che ne costituiscono la conclusione: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
Sono parole importanti, che Marco colloca in modo speciale al termine del Vangelo, riprendendo il programma narrativo esposto in Marco 1,1 («Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio»), che era già stato parzialmente portato a termine dalla confessione di Pietro («tu sei li Cristo») in Marco 8,29. Il centurione romano (cioè, straniero e pagano), è in questo Vangelo il primo uomo a dichiarare che Gesù è «Figlio di Dio» (prima di lui, infatti, solo i demoni avevano fatto dichiarazioni simili).
Inoltre, egli constata in modo chiaro la morte di Gesù (dice, infatti, che Gesù «era» figlio: non «è» più, quindi); importante anche la costatazione che il centurione parla dopo che «ha visto» Gesù morire, potente richiamo al lettore: il centurione, che «vede», costringe anche il lettore a fermarsi per comprenderne il valore di quella morte.
Ma perché un centurione romano? Non c’erano altri, sotto la croce? In Marco – va ricordato – no, davvero non vi sono altri sotto la croce: non i discepoli, non Maria; solo alcune donne, ma da lontano, assistono alla morte di Gesù, abbandonato, solo, oltraggiato. E poi, che sia un romano a vedere in Gesù il Figlio, istituisce un potente effetto di contrasto con gli altri personaggi coinvolti, i capi giudaici (e la folla), che – pur essendo gli eredi dell’alleanza e i custodi della fede dei padri – sono rimasti ciechi, non hanno visto in Gesù il Messia.
Il Vangelo ci invita: chi siamo, noi, sotto la croce? I discepoli che fuggono, i capi che oltraggiano, la folla che assiste o quel soldato di Roma? Certo, non è facile vedere in un condannato, in un morto ammazzato, il Messia. In questa pagina di Marco c’è tutto il paradosso della croce e del Vangelo: quel crocifisso è il salvatore, quel disprezzato è il giusto, quel cadavere è fonte di vita. Eppure, il centurione ha visto e capito. E noi?
*Testo tratto dal sito della Diocesi di Piacenza-Bobbio