Quaresima 2018, il dipinto – Il gesto di chi crede: veramente costui è Figlio di Dio
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
Quaresima 2018, il dipinto - Il gesto di chi crede: veramente costui è Figlio di Dio*
In un grande teatro, in cui lo spazio si fa simultaneità di azioni, la decifrazione delle immagini dispiega il tempo, articolando una storia breve, di solo qualche giorno, ma intensa, sconvolgente e benedicente. La vita di un uomo che è anche Dio: Figlio amato, generato perché ogni uomo possa essere rigenerato. L’artificio di una pittura cede il posto alla potenza di un’esperienza dal sapore buono e dal tratto duro a un tempo. È così che dal 1491 prende forma il Polittico della Passione di Lubecca di Hans Memling. Opera che si attarda in un’infinità di particolari, come ogni opera d’ispirazione fiamminga di quest’epoca, richiede attenzione e pazienza, caratteristiche che ne hanno segnato anche l’operare del pittore. Tavola preziosa, racconta così della morte e della vita, annuncio di qualcosa di grande seppure segnato dalla torva presenza del soffrire.
Dalla Baviera raggiunse le Fiandre, ivi operando secondo il dettato che fa del dettaglio il senso del tutto. Se intorno si narra di un processo ingiusto, di un corteo mesto e violento, ma anche di un sepolcro abitato solo per essere lasciato, reliquia di un accadimento prodigioso, e di un salire poderoso al cielo, al centro, alto e ben visibile, il Cristo crocifisso: domina tutta la scena e tutto avviene intorno a lui. Non vediamo le due ante a lato, con l’inizio della passione e la fine con l’ascensione del risorto, ma la crocefissione si: i due ladroni sono rivolti a quella croce centrale, chiamati ad intrattenere con essa un dialogo fatto di parole, sguardi, silenzi. Dietro la città che ha rigettato fuori il profeta, affinché conosca una morte ignominiosa. Ai piedi di quella croce, ossa che evocano altre sentenze capitali, avvenute senza alcuna pietà, neppure quella della sepoltura. Negli angoli in basso due momenti in contraddizione tra loro: una madre straziata dal dolore, soccorsa dal gesto d’affetto d’una donna e dal sostegno dell’apostolo Giovanni a sinistra; a destra voraci e gaudenti soldati, ormai troppo abituati alla morte per essere distratti nel loro gioco feroce di chi spartisce un bottino. Vicino alla croce, ad un livello che pare inclinare il piano, donando centralità all'evento stesso nella crocefissione posta a metà tra lo sfondo e l’osservatore, ecco una parata di personaggi interessanti. Se alla nostra sinistra compare il soldato a cui la tradizione ha attribuito il nome di Longino, intento con un gesto solenne a portare a termine, aiutato da un altro, il suo compito di carnefice, tocca ad un altro guerriero, con gesto sicuro e sguardo fiero, dare voce a quelle parole che furono del centurione: davvero costui era Figlio di Dio.
La composizione si fa dettagliato resoconto: quasi quaranta personaggi affollano la scena. Il brusio sale: domande, questioni, sensazioni e sentimenti. Tutto si raccoglie in quel gesto solenne e antico: la mano si alza e il fiero sguardo asserisce, severo e pronto, la forza dirompente della debolezza sfibrata di una morte. La luna e il sole insieme, le nubi tempestose che si addensano ed oscurano la terra (Marco 15,33): proprio come ci narra il vangelo, il cosmo intero partecipa di quell'evento. Evento che parla, che grida spietato quanto sia debole l’uomo e quanto sia forte l’amore di un Dio che nel suo Figlio fatto carne rigenera. La prospettiva sapientemente offerta di uomini e cavalli che si agitano, cede il posto all'inclinazione di un piano che sembra quasi farsi verticale, frettoloso nel volerci portare in alto, fin su quell'albero al quale il trofeo della morte diviene fonte di speranza per ogni debole vita. Tutto rapidamente porta lì, nella sapiente costruzione di un antico maestro. Ma quella mano e quella croce… Tutto si chiude lì intorno: il corpo martoriato dei ladroni, lo scherno gaudente dei soldati, l’interrogarsi preoccupato dei potenti e il piangere afflitto dei semplici. E quella mano con quella croce: semplice confessione di una fede schietta, nata dall'esperienza di un incontro. Essa si articola in questa serie di personaggi, che non sono altro che il committente e i suoi famigliari.
La loro fede è nel tempo, nella storia, come quella di ciascuno di noi che può fare proprie quelle parole semplici e benedette. "Veramente quest’uomo è Figlio di Dio" (Marco 15,39): parole semplici e dense, profonde come l’abisso e alte come il cielo, alte come la vita eterna, profonde come la morte di un attimo. Parole che ogni bocca può pronunciare, che ogni cuore può custodire, che ogni mente può possedere. Il gesto forte e sicuro, come i tratti dettagliati di quei volti, di quei cavalli, di quel paesaggio. Tutto parla di un avvenimento in cui una città intera si può ritrovare, un popolo intero si può identificare, l’intera storia si può trasfigurare, nell'artificio di un travestimento, di una sostituzione: tutti prendono il posto dei soldati, delle povere donne, dei sommi sacerdoti. E tutti possono dire, tutti possiamo dire, nella storia e nel tempo: tu sei Figlio e io posso esserlo con te e in te. È quello sguardo rapito, di quell'ultimo personaggio, lì dietro alla croce, che guarda al crocifisso. L’unico che rimane sempre unico, eppure per tutti, è quell'uomo crocifisso: Figlio di Dio il cui morire strazia il cuore e colma di vita. Proprio come può accadere per la morte ingiusta dell’unico giusto. Dettagli impercettibili, come un dettaglio è quella morte, in confronto all'inarrestabile fluire inesorabile del tempo negli spazi sconfinati dell’universo. Eppure solo lì, con umiltà, in quell'angolo di mondo e in quel buio di un attimo, quel gesto condensa lo spazio, il tempo, la storia: Costui è veramente Figlio di Dio.
* testo tratto dal sito della Diocesi di Piacenza-Bobbio