La torre. ‒ Anche la nostra chiesa, come tutte le chiese che nel Medioevo sorsero lungo la via Emilia, è fiancheggiata da un massiccio torrazzo che, oltre ad essere stato cantato dal poeta dialettale Valente Faustini, è famoso in tutta la nostra provincia essenzialmente per due motivi: la sua antichità e la vicenda dell’asino. L’odierno campanile è stato probabilmente ricavato riutilizzando una precedente struttura a torre costruita per scopi difensivi (facente forse parte di un antico castrum romano di età tardo-imperiale), che già nel XII secolo dovette essere inglobata all’interno della fortificazione che proteggeva il primitivo complesso ecclesiastico. La torre risulta infatti orientata in modo da poter scrutare la pianura circostante fino all’antico ponte romano sul Nure e sorvegliare la via Emilia e le altre strade che conducevano al paese, trasformandosi all’occorrenza in posto di avvistamento, segnalazione e difesa.
Tipico esempio di arte romanica, il campanile ha una struttura estremamente diversificata, che ben testimonia l’antichità della sua origine: alto circa 28 metri e dalla base quadrata, presenta una calibrata successione di tre registri sovrapposti di specchiature doppie, suddivise verticalmente da una lesena centrale. I primi due registri risultano coronati da quattro archetti pensili, mentre grosse lesene angolari serrano la superficie dell’edificio e un fregio a dente di sega segna lo stacco tra le campiture decorative. La parte basamentale, la cui costruzione sembra risalire intorno all’anno Mille, risulta composta da grossi ciottoli e pietre di diverse dimensioni, rozzamente squadrate e sommariamente disposte entro spessi letti di malta. Nella zona superiore è stato invece impiegato materiale laterizio irregolare, con file ben allineate di mattoni disposti di piatto, di taglio e anche a spina di pesce. Essa viene invece fatta risalire, in base ad esempi coevi dell’area lombarda, alla seconda metà dell’XI secolo. La realizzazione, nella seconda metà dell’Ottocento, dell’attuale cella campanaria a bifore archiacute ha comportato, oltre alla scomparsa della cornice decorativa e forse di un piano di apertura originario, anche il rimaneggiamento della muratura in corrispondenza dell’ultimo registro. Sulla parete che guarda verso la via Emilia è presente una croce di mattoni realizzata in ricordo di una missione popolare, probabilmente predicata in preparazione di una visita pastorale di monsignor Giovanni Battista Scalabrini. In occasione di alcuni lavori svolti verso la fine dell’Ottocento venne pure scoperta una lunga galleria che collegava la torre con il podere detto “del Castello”, attualmente di proprietà della famiglia Sforza-Fogliani, dove è presente un edificio eretto sui resti dell’antico castello alto medievale che sorgeva nel nostro paese.
L’attuale aspetto della torre risale al 1877: in quell’anno, come si apprende da un censuale redatto dall’allora arciprete Gioacchino Cella e tuttora conservato presso l’archivio parrocchiale, la struttura fu oggetto di alcuni lavori che portarono alla realizzazione dell’attuale cella campanaria. «Il tetto del campanile minacciava rovina e i muri stessi in più luoghi erano fragili. Ho fatto accomodare prima i muri, poi demolito il tetto ho fatto fare nuova la pilastrata alzandola quasi di due metri con disegno analogo a quello della torre e poi fatto di nuovo con nuovi legnami e tegole il tetto medesimo. Dopo il tetto ho fatto costruire per intero il castello delle campane». Importanti lavori di restauro e consolidamento vennero compiuti anche da monsignor Silvio Losini, arciprete di Pontenure dal 1952 al 1977. Nel 1955 vennero tolti l’intonaco e le tavelle che fino a una certa altezza nascondevano le lesene della torre, mentre tre anni più tardi vennero rifatti i pavimenti dei vari piani (due in cotto e gli altri in legno) e furono sostituite le pericolanti scale in legno con nuove scale di ferro. Verso la fine degli anni Ottanta del secolo scorso venne rimossa dalla ditta Gruppi anche la grande croce posizionata sulla sommità della Torre nel secondo dopoguerra. Essendo ormai pericolante, la croce lasciava penetrare nel tetto acqua e umidità, mentre con un intervento di emergenza si provvide anche a riordinare e rinfrancare i coppi e a puntellare le travature che si trovavano in cattivo stato, in attesa di un completo rifacimento del tetto.
Con il passare dei decenni, infatti, gli agenti atmosferici e probabilmente anche le vibrazioni provocate dal passaggio dei mezzi pesanti avevano messo a dura prova la resistenza strutturale dell’edificio, causando la caduta di tegole e calcinacci. Anche per questo, agli inizi del giugno 1990, un’apposita ordinanza emessa dall’allora sindaco Adriano Paratici disponeva un parziale sbarramento della via Emilia, la chiusura precauzionale della chiesa e la messa in opera di paratie di protezione; anche la millenaria torre veniva completamente imbrigliata. Iniziarono subito i lavori di recupero, effettuati dalla ditta Edilverde di Pesaro, che mirarono principalmente al consolidamento delle murature con l’iniezione di ben 750 quintali di resine e malta e comportarono l’installazione di idonee cerchiature metalliche, oltre che al rifacimento del tetto, alla pulizia del paramento murario e degli elementi decorativi. La chiesa venne riaperta al culto il 30 settembre dello stesso anno, mentre la torre dovette restare ingabbiata per altri due anni: venne infatti ufficialmente inaugurata il 29 giugno 1992, in occasione della festa di San Pietro, alla presenza dell’allora prefetto Berardo Ienzi e del vescovo di Piacenza Antonio Mazza. Il complesso intervento comportò una spesa complessiva di circa 400 milioni di lire.
Le campane. – Non possiamo certo parlare del campanile senza accennare alle campane. Apprendiamo dal quarto tomo del Libro dei Battesimi che alla campana già allora esistente sulla Torre ne venne aggiunta una seconda, realizzata il 18 marzo 1633 dal fonditore pavese Giovanni Battista Veneroso. Il 24 marzo della stesso anno la campana fu benedetta dal Vescovo di Piacenza, monsignor Alessandro Scappi, presso la chiesa cittadina di San Bernardino, appartenente ai Padri cappuccini. Battezzata col nome di Anna Maria, la campana venne issata sulla Torre il giorno successivo, un Venerdì Santo. Poiché anticamente i mezzi di trasporto erano assai scarsi, si era soliti fabbricare sul posto tutto ciò di cui si necessitava: così nel 1686, era allora arciprete Girolamo Albrizio Tadini, furono fuse a Pontenure tre campane, due piccole e una grossa. Dal resoconto redatto in seguito alla visita pastorale del vescovo Alessandro Pisani (28 settembre 1776), si apprende infatti che le campane erano tre e soltanto la più piccola era stata benedetta pochi anni prima dal suo predecessore, monsignor Pietro Cristiani; esse venivano suonate «né propri tempi per la messa parrocchiale, e per le altre, ma però con segni diversi, si suonavano pure per li vespri festivi, per la dottrina, per la predica e per le altre funzioni ecclesiastiche». Oltre ai tradizionali rintocchi per ricordare al popolo la recita dell’Ave Maria all’aurora, a mezzogiorno e alla sera, la campana grossa veniva suonata ogni volta che in paese nasceva o moriva una persona, subito dopo i rintocchi dell’Ave Maria della sera in suffragio ai defunti e ogni venerdì pomeriggio per invitare i fedeli alla recita di cinque Pater Noster in ricordo della Passione di Gesù. I rintocchi delle campane annunciavano peraltro anche le riunioni delle Congregazioni del Santissimo Sacramento e del Rosario, le convocazioni del Consiglio degli anziani prima e poi di quello comunale; in seguito, quando nel nostro paese venne istituita la scuola elementare, si prese a segnalare anche l’inizio delle attività scolastiche.
Verso la fine del Settecento, come si apprende da un censuale conservato presso l’archivio parrocchiale, la più piccola delle campane risultava rotta da alcuni anni, «in modo che non aveva più voce di campana», e venne perciò fatta rifondere a sue spese da don Benedetto Moris, arciprete di Pontenure dal 1794 al 1817. Assai frequenti furono comunque nel corso dei decenni gli incidenti causati dalla caduta delle campane o assai più spesso dalla rottura del castello di legno che le sorreggeva, fino a quando nel 1907 non venne rifatto interamente in ferro dal fabbro Federico Cavanna. Durante l’ultimo conflitto mondiale le due campane più piccole (una dal peso di 140 kg e l’altra di 205 kg circa) furono requisite dallo Stato in seguito ad un regio decreto del 23 aprile 1942, emanato dal ministero Mussolini, che comportò la requisizione forzata delle campane su tutto il territorio nazionale per contribuire allo sforzo bellico del Paese; rimase al suo posto soltanto la maggiore, risalente al 1686 e dal peso di 340 kg. Nell’immediato dopoguerra si decise di realizzare ex novo un concerto di cinque campane che vennero ottenute anche attraverso la fusione dell’unica campana rimasta. Il lavoro venne affidato alla Fonderia Pietro Colbacchini di Bassano del Grappa: anche se parte della spesa venne sostenuta a titolo di risarcimento dallo Stato, come attestano alcune iscrizioni presenti su due delle attuali cinque campane, tutti i cittadini e le ditte pontenuresi contribuirono al finanziamento del nuovo concerto attraverso le loro offerte, a cominciare dall’arciprete monsignor Giuseppe Cardinali, che mise a disposizione la somma di 100.000 lire. Il nuovo concerto, benedetto il 12 marzo 1950 da monsignor Umberto Malchiodi, vescovo coadiutore di Piacenza, nel corso di una solenne cerimonia, venne installato nei giorni successivi in cima alla torre. Domenica 19 marzo 1950, come recita un manifestino dell’epoca, «le festose campane di pace» cantavano «la gloria di San Giuseppe nel giorno onomastico del Pastore amatissimo monsignor Giuseppe Cardinali», che con una solenne santa messa celebrava i 40 anni di parrocchialità.
Tutte le cinque campane presenti al giorno d’oggi sulla Torre riportano l’anno di fusione (1950) e varie iscrizioni: oltre ad alcune giaculatorie con le consuete dediche propiziatorie (per es. “A fulgore et tempestate libera nos Domine“), non mancano alcune brevi citazioni in latino di inni sacri e raffigurazioni del Signore, della Beata Vergine o dei Santi, che in alcuni casi seguono l’intera circonferenza dei bronzi. La più grande delle campane reca l’iscrizione «S. Petre ora pro nobis – Regina Sacratissimi Rosarii ora pro nobis. La popolazione di Pontenure alla Madonna del Rosario e a San Pietro, suoi patroni». Sulla seconda campana, sempre in ordine di grandezza, sono incisi i nomi di alcuni maggiori donatori che contribuirono a finanziare il nuovo concerto, tra i quali ricordiamo in particolare «Mons. Cardinali Giuseppe, arciprete – Pagani Calisto – Sichel Giovanni – RDB – Zanardelli Enrico – Mazzadi Giuseppe – Raggio Armando – Mora Francesco – Dodi Severino – Colombi dott. Alessandro – Fam. Tinelli – Carini geom. Angelo – Zazzali Giacomo e Sante – Alfredo Zucca»; la terza riporta l’iscrizione «La popolazione di Pontenure ai caduti per la Patria». La quarta campana risulta essere dedicata a Cristo Redentore, commemorando l’Anno Santo indetto da papa Pio XII proprio nel 1950, mentre sulla quinta, la più piccola, sono riportati i nomi dei fratelli Camoni (Giovanni, Giuseppe, Carlo, Emilio, Pietro, Alessandro, Alfredo) che probabilmente contribuirono con le loro offerte alla sua realizzazione. Nel 1972, con l’automazione delle campane da parte della ditta Capanni di Castelnuovo ne’ Monti (Reggio Emilia), furono tolte le secolari corde: esse suonarono così per la prima volta a distesa, senza l’ausilio delle corde (e del campanaro!), il 19 marzo 1973, in occasione della consacrazione del nuovo altare da parte di monsignor Artemio Prati, vescovo di Carpi e nostro illustre concittadino, che proprio quell’anno festeggiava il ventesimo anniversario di ordinazione episcopale.
L’orologio. – Da un inventario risalente agli inizi del Settecento si apprende poi che presso uno dei piani della torre era conservata una grossa cassa in legno che conteneva un orologio fatto fare nel 1692 dal colonnello Angelo Anguissola, costituito da dodici ruote di ferro grandi e piccole e da un castello di ferro molato. L’orologio venne montato sul campanile nel 1730, mentre era in carica come arciprete don Giulio Casali, con una spesa pari a 400 lire piacentine del tempo. Esso rimase al suo posto per poco meno di due secoli, fino a quando non venne sostituito agli inizi del Novecento da un moderno orologio installato dalla ditta Dal Pozzo Lodovico. Quest’ultimo rimase sulla Torre fino a quando nel 1972, giudicato ormai «vecchio e stanco», non venne sostituito da un orologio elettrico, collegato alle campane. Il precedente orologio venne installato sul campanile della chiesa di Paderna, da dove venne rubato qualche anno dopo.