Dopo la Troade la spedizione raggiunse via mare Napoli nella Macedonia e successivamente per la via Egnazia Filippi, la Macedonia e l’Illirico arrivando a Durazzo per approdare poi a Brindisi. Da qui per la via Appia Ignazio giunse probabilmente a Roma dove subì il martirio nel 107 ca.
La trasmissione delle lettere di Ignazio è dovuta a vari interventi. I filippesi scrivendo a Policarpo chiesero una copia delle lettere di Ignazio che fu spedita in allegato alla risposta. Largamente divulgate, furono conosciute da Ireneo, da Origene e da Eusebio. Successivamente furono tradotte in siriano e alla fine del IV sec. Giuliano l’ariano ne fornì, ampliata, una traduzione greca. Il punto più vivo di unità si concentra per Ignazio nella figura del vescovo. L’episcopo, col pieno significato greco di “sorvegliante”, “sovrintendente”, è solo il rappresentante “visibile” del vero vescovo invisibile che è Gesù Cristo unito al Padre. Rifiutare il visibile vuol dire ingannare l’invisibile. Il vescovo si presenta come l’ultimo di tutti, l’ultimo dei cristiani e indegno di appartenere a quella Chiesa, ma proprio perché è ultimo, l’episcopo è in senso evangelico il “primo”. È inoltre “degno di Dio” non perché sia una persona rispettabile ma perché rispecchia una scelta di Dio, nel “degno” si riflette la perfetta corrispondenza tra i sentimenti interiori e la vita concreta, a differenza dei falsi maestri che amano presentarsi come persone degne di fede ma in realtà sono lupi rapaci che rendono schiavi chi li segue. La differenza tra vero e falso maestro sta nel “secondo Dio”. I veri ministri, che si trovano a quel posto non per ambizione, ma solo per volontà di Dio, non vivono secondo l’uomo ma secondo Dio, secondo Cristo. “Il vostro presbiterio è […] in perfetto accordo con il vescovo, come le corde alla cetra. Per questo nella vostra unanimità e nella vostra concorde carità Gesù Cristo è cantato. E che tutti i singoli formiate un coro, affinché concordi nell’unanimità, prendendo il timbro di Dio, con una sola voce cantiate al Padre per mezzo di Gesù Cristo, affinché egli vi ascolti e vi riconosca per le vostre buone opere come membra del Figlio suo. È vantaggioso dunque che voi siate in unità irreprensibile, per partecipare sempre di Dio”.
Francesco Fracanzano (1612-1656), Sant'Ignazio di Antiochia tra le belve del circo. Roma, Galleria Borghese.
In sintesi nella sua concezione ecclesiologica, Ignazio è il primo ad affermare che il ministero episcopale è essenziale al concetto di Chiesa: senza di esso la Chiesa non può essere tale. Il vescovo non è solo ma coadiuvato da presbiteri che formano un collegio chiamato presbiterio che è il “senato del vescovo”, la sua “splendida corona”. A servizio diretto del vescovo, come esecutori delle sue direttive e delle sue cure pastorali, ci sono i diaconi definiti “compagni di servizio”. Inoltre, nella prospettiva dell’unità, in ogni Chiesa locale ci deve essere un solo vescovo (monoepiscopato o episcopato monarchico) così come un solo Dio Padre, un solo Cristo, una sola eucaristia, un solo altare. La particolarità della Chiesa è a vantaggio dell’universalità, quella che Ignazio, per primo, definisce “cattolicità”. Quest’ultima si esplica soprattutto nell’unica fede e nel legame di preghiera e di carità. Inoltre la comunione tra le varie Chiese si concretizza in invio di lettere, di delegazioni e di sostegno nelle emergenze. Infine per Ignazio, nella Chiesa, a discapito di una ministerialità itinerante, vi è una stabilità nella struttura ministeriale che va condivisa e vissuta.