Venerdì Santo: la Croce sul colle
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
Venerdì Santo: la Croce sul colle
«L'agnello ha redento il suo gregge» (Victimae Paschali)
Le opere di Dio sono sconcertanti, mettono alla prova la nostra comprensione, la nostra erudizione, le nostre certezze, le nostre sicurezze. Dice infatti Gesù parlando ai suoi discepoli del Regno: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (cfr. Matteo 11, 25), cioè ai puri di cuore, a tutti coloro che grazie alla fede riescono ad incontrare Dio e a riconoscere così la straordinaria grandezza del Creatore.
Come spiegarsi altrimenti l'infinita grandezza che, per così dire, si fa infinita piccolezza, l’onnipotenza che rinuncia ad imporsi con la forza e diventa persino impotenza, l'eternità che si fa carne e viene ad abitare e a cambiare per sempre la storia, riscattando col suo sacrificio l'uomo caduto e strappando la preda all'inferno. Tutto ciò lo sperimentiamo senza dubbio a Natale ma ancora di più a Pasqua, perché come recita la Sequenza di Pasqua «l'agnello ha redento il suo gregge, l'innocente ha riconciliato i peccatori con il Padre». Ma il fallimento e la sconfitta, la morte infamante e ingloriosa, forse la peggiore fra quelle possibili, frutto del totale abbandono nelle mani misericordiose del Padre e dell'amore infinito per il prossimo, che siamo noi tutti, l'umanità intera, sono vissuti da Gesù con incrollabile fiducia nella misericordia di Dio, che non delude mai i servi buoni fedeli e si ricorda delle sue promesse per sempre.
Secondo il Vangelo di Giovanni (19,31), Gesù muore in questo giorno, alle tre del pomeriggio, proprio nel momento in cui nel Tempio si immolano gli agnelli destinati alla celebrazione della Pasqua: la sua è un’immolazione «reale», un sacrificio compiuto una volta per tutte, perché la «vittima perfetta» ha reso inutile ogni altro sacrifico, l'amore del Redentore per le sue creature supera la rigidità della Legge antica, stabilisce una nuova e perfetta Alleanza, è fonte di salvezza per tutti coloro che accolgono la sua Parola. Dal fianco trafitto dalla lancia del centurione sgorga sangue misto ad acqua, da cui sono misteriosamente segnati gli appartenenti al nuovo popolo dei credenti, che ricevono così un battesimo santo. Cristo crocifisso è dunque il «vero Agnello pasquale», Egli stesso è la «nostra Pasqua» immolata, come scrive San Paolo nella prima lettera ai Corinzi (cfr 5,7). Ma neanche la brulla collina del Golgota, la solitudine e la sofferenza del Signore, la fuga dei suoi discepoli, le ingiurie dei presenti, la brutalità di quella morte, possono privarci della gioia che ci trasmette la presenza di Cristo, perché la Croce di Gesù «è la gioia dei cristiani».
Anche la croce, quella croce che è sempre stata per l’uomo di ogni età pietra d’inciampo e di scandalo, deve perciò essere investita da questa nostra gioia, illuminata dalla luce del Signore risorto. Quella croce che non può non dare fastidio a chi come noi ha fatto di tutto per esorcizzare la paura della morte, strumento con cui per secoli ha imperato l’antico avversario dell’uomo. Gesù stesso ha avuto paura della morte negli ultimi giorni della sua vita terrena. È scoppiato in pianto davanti alla tomba del fraterno amico Lazzaro; ha pianto davanti a Gerusalemme, la città santa, pensando al tragico destino che avrebbe subito di lì a pochi anni e alla rovina del suo popolo; ha sudato sangue nell'orto del Getsemani, abbandonato e rinnegato dai suoi discepoli, nell'ora più buia della passione, prima di consegnarsi ai suoi aguzzini, prima del processo di fronte a un giudice iniquo, prima della morte più ignobile, quella di croce.
Ma la morte, che forse non ci è stata mai così familiare come in questi ultimi tempi, ci aiuta a comprendere con chiarezza che, siccome «come l'erba sono i giorni dell'uomo, come il fiore del campo» (Salmo 102,15), non possiamo fare a meno di aggrapparci all'amore dell'eterno Padre. I nostri occhi finalmente svelati potranno così vedere e credere come fece Tommaso quando vide le piaghe, come fece Giovanni quando, dopo una corsa affannosa, giunse al sepolcro vuoto e «vide e credette» (Giovanni 20,8). Potremo così chiedere al Signore la stessa cosa che chiese il Buon ladrone, crocefisso accanto a lui sulla cima del Calvario, «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Luca 23,42).