Pontenure e i suoi curati – Don Alberto Carozza
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
Pontenure e i suoi curati – Don Alberto Carozza
Alla scoperta dei curati della nostra Parrocchia
"Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici", questa solenne affermazione del Vangelo di Giovanni riaffiora subito e prepotentemente alla mente quando si pensa alla figura del giovane cappellano don Alberto Carozza, che seppe fare proprio quest’amore fino all’estremo sacrificio.
Don Alberto nasce il 5 febbraio 1914 da una povera ma onestissima famiglia di Salsomaggiore, figlio di Giovanni e Maria Triluotti. Di indole assai vivace, già da piccolo dimostra una spiccata intelligenza non disgiunta da una profonda devozione. Sentendo attrattiva per gli studi ecclesiastici, grazie al sostegno economico garantito da una facoltosa famiglia di Salsomaggiore, assai nota per le sue benemerenze nel campo sociale, inizia a frequentare il Seminario Urbano di Piacenza, dove ben presto si distingue per zelo negli studi e bontà di cuore. Completati gli studi, viene ordinato sacerdote il 2 aprile 1938 nella Cattedrale di Piacenza da mons. Ersilio Menzani, vescovo di Piacenza. La sua prima destinazione, in qualità di curato, è la parrocchia cittadina di Santa Maria in Gariverto, a quei tempi considerata una delle più difficili della città di Piacenza, dove riesce subito a conquistare i bambini e i giovanetti del popoloso rione grazie alla cortesia, alla semplicità dei modi, all'intima modestia.
Dopo circa un anno di permanenza a Piacenza, arriva il trasferimento proprio qui a Pontenure, dove don Alberto è chiamato ad affiancare come coadiutore l’anziano arciprete monsignor Giuseppe Cardinali, che data anche la sua età ormai avanzata gli affida quasi la conduzione della Parrocchia. Anche a Pontenure si ripete quanto era già avvenuto in città: i giovani si sentono attratti dalla sua predicazione e dal suo esempio, lo seguono e gli ubbidiscono volentieri, fanno tesoro dei suoi insegnamenti. Egli trascorre molto tempo con loro, istruendoli in particolare nel canto, che aveva molto a cuore. È con grande dolore che, nella primavera del 1941, don Alberto accoglie la lettera con la quale gli si comunicava che sarebbe stato trasferito dal Vescovo a San Nazzaro d’Ongina, una frazione di Monticelli, e che pertanto di lì a poco avrebbe dovuto abbandonare i diletti giovani di Pontenure. Prima di partire per la sua nuova destinazione, il giovane curato vuole trascorrere un’ultima serata in compagnia dei "suoi ragazzi", rivolgendo loro preziosi consigli e incitandoli a compiere sempre e in ogni circostanza il loro dovere di cristiani verso Dio e di cittadini verso la Patria. Il 4 giugno 1941, dopo aver celebrato la santa messa prima dell’alba, per evitare ogni possibile dimostrazione o incidente, don Alberto inforca la sua bicicletta e, senza che nessuno lo veda, si dirige veloce verso la campagna per raggiungere San Nazzaro.
Qui viene accolto a braccia aperte dall’arciprete don Luigi Calderoni. Subito anche in questo borgo inizia la sua opera pastorale a favore dei bambini e dei giovani, che trovano in lui un grande amico, specialmente gli studenti, ai quali impartisce con competenza lezioni private, ma nel tempo libero non manca di remare con loro in barca lungo le placide acque del Grande fiume. Quando nell'autunno del 1941 viene a sapere che il Vescovo intende trasferirlo a Fiorenzuola d’Arda, don Alberto si rattrista grandemente: "Se dovessi abbandonare San Nazzaro preferirei essere mandato nell’ultima Parrocchia della Diocesi, ma farò la volontà del mio Vescovo". Proprio in quel periodo giunge la notizia che l’Ordinariato militare aveva richiesto alla Diocesi di Piacenza la designazione di alcuni sacerdoti per prestare servizio a sostegno delle truppe in qualità di cappellani militari. Fervente di patriottismo, don Alberto accoglie con entusiasmo tale notizia, scongiurando il suo arciprete di scrivere in proposito a mons. Bartolomasi, arcivescovo castrense, per informarlo della sua disponibilità. Chiede soltanto di essere chiamato a servire come cappellano nella Regia Marina, forse perché rimasto colpito dalla morte di un giovane guardiamarina, scomparso in seguito all’affondamento dell’incrociatore pesante Fiume nella battaglia navale di Capo Matapan, al largo delle coste greche.
In pochi giorni il suo desiderio viene esaudito e arriva la cartolina che gli annuncia la sua chiamata in servizio come tenente cappellano, anche se nel Regio Esercito. Viene così assegnato alla 4a Sezione di Sanità della Divisione di fanteria "Cuneo", dislocata presso le isole Cicladi, nell'Egeo, in sostituzione di un altro cappellano che rientrava in patria per malattia. Prima di partire per raggiungere il suo reparto a Barletta, don Alberto non manca di salutare con calore i giovani di San Nazzaro, che non avrebbe più rivisto, e la sua famiglia a Salsomaggiore, nascondendo però alla madre la sua futura destinazione. Dopo qualche giorno di attesa nella cittadina pugliese, arriva finalmente il tempo dell’imbarco, che segna purtroppo anche la fine della giovane vita di questo sacerdote buono e generoso. Il mattino del 5 gennaio 1942, l’incrociatore ausiliario Città di Palermo, carico di truppe e al contempo incaricato di scortare una seconda nave da trasporto, viene avvistato e colpito con due siluri lanciati dal sommergibile britannico HMS Proteus. Durante il tragico sinistro don Alberto collabora nel riportare la calma tra i soldati in preda al panico e aiuta i marinai a mettere in mare le scialuppe di salvataggio. Rifiutando un salvagente offertogli, che preferisce invece donare a un giovane soldato che ne era rimasto privo, continua a svolgere la sua missione di sacerdote, senza smettere mai di confortare, assolvere e benedire i naufraghi circostanti, ormai avvolti dai vortici delle onde, prima di sparire a sua volta tra i flutti provocati dal piroscafo in affondamento. "Ricordatevi sempre che siete soldati d'Italia", le ultime parole rivolte a coloro che lo circondavano.
In soli sei minuti il piroscafo s'inabissò tre miglia a nordovest di capo Dukato (isola di Santa Maura), trascinando con sé don Alberto, la maggior parte dell'equipaggio e la quasi totalità dei 600 militari che stava trasportando. Per il suo contegno eroico, la nobiltà del suo esempio e la pietà tutta cristiana con cui non esitò a sacrificare la sua giovane vita, non molto tempo dopo a don Alberto venne riconosciuta la Medaglia d’argento al Valor Militare alla Memoria. Il suo sacrificio, infatti, visse a lungo nei ricordi dei sopravvissuti che fin da subito iniziarono a raccontare di quel tenente cappellano che amò i suoi commilitoni tanto da rifiutare la possibilità di salvarsi, preferendo restare con loro, alzando la mano per benedirli e offrendo sostegno in quegli attimi così tragici. Come il suo Maestro, questo soldato di Cristo aveva serenamente e volontariamente affrontato la morte soltanto per dare ad altri giovani il conforto di una mano amica che li benediceva nell'ora del supremo sacrificio.
Sarà proprio un Pontenurese, il futuro vescovo di Carpi Artemio Prati, a quei tempi arciprete di Salsomaggiore a dover comunicare, su incarico del vescovo Menzani, ai genitori del giovane cappellano la triste notizia della scomparsa del figlio. I funerali si svolsero il 22 marzo 1942 nella chiesa di San Nazzaro d’Ongina, con la partecipazione del Vescovo, delle autorità civili e dei tanti giovani e bambini della borgata. Anche a Pontenure fu celebrata una messa in suo ricordo. Ancora al giorno d'oggi la sua figura rimane parecchio nota anche nel nostro paese, che ha voluto dedicare a don Carozza una delle sue vie. Per qualche tempo, negli anni Settanta, si è svolto un Trofeo di pallacanestro a lui intitolato organizzato dalla Polisportiva OMI; inoltre, fino a non molti anni fa, il 15 gennaio di ogni anno, i tanti Pontenuresi che lo avevano conosciuto hanno continuato a ricordarlo nella preghiera di suffragio insieme a mons. Cardinali, partecipando numerosi alla santa messa che veniva celebrata proprio quel giorno in loro particolare ricordo.
Luca T.