Domenica 16 Aprile: la domenica in Albis nella pace del Signore Risorto
di Redazione Sito ·
Domenica 16 Aprile: la domenica in Albis nella pace del Signore Risorto
Domenica 16 aprile, seconda domenica di Pasqua, anche la nostra Parrocchia ha celebrato la fine dell'Ottava di Pasqua, ossia quel periodo di otto giorni in cui la Chiesa è ancora pervasa dalla gioia del Signore crocifisso e risorto e ricorda la sua apparizione ai discepoli, rinchiusi per timore dei Giudei, la sera stessa del giorno di Pasqua. Fino a qualche decennio fa, prima del Concilio, questa domenica era denominata domenica in Albis, secondo la locuzione latina "albis vestibus depositis", ossia domenica in cui "le vesti bianche vengono deposte", poiché intimamente legata al rito del Battesimo. Agli albori della Chiesa infatti, come ha ricordato don Mauro nella sua omelia, il battesimo era amministrato (solitamente ad adulti che si convertivano) durante la solenne veglia che si svolgeva nella notte di Pasqua e i nuovi battezzati ricevevano una veste bianca, segno della vita nuova appena ricevuta in Cristo. Questi nuovi battezzati, i neofiti, portavano questa veste candida per tutta la settimana dell’ottava di Pasqua, fino alla domenica successiva: in questo giorno i neofiti la indossavano per un’ultima volta, dopo aver partecipato durante la settimana successiva alla catechesi e all'Eucarestia.
"Pace a voi!", è questo il saluto che Cristo, risorto dai morti, fa risuonare per tre volte quest’oggi, come abbiamo potuto ascoltare grazie al Vangelo di Giovanni (20, 19-31). Un saluto che è seguito da tre doni. Anzitutto le piaghe della croce e della crocifissione, per ricordare, agli Apostoli e a tutti noi, che la vera pace e la vera gioia non possono essere raggiunte se non siamo disposti a passare attraverso il mistero della croce e soprattutto che la risurrezione non cancella la croce, come ci ricordano le piaghe, i segni dei chiodi, la ferita al costato, presenti sul corpo glorioso del Signore risorto. Il dono dello Spirito Santo, spirito di misericordia, attraverso cui la comunità cristiana viene resa luogo di incontro, perdono e riconciliazione. Infine, il saluto rivolto direttamente all'incredulo Tommaso, chiamato Dìdimo, ossia gemello, perché è gemello di ciascuno di noi, sempre titubanti, dubbiosi, increduli, spaesati, specialmente in questo periodo così particolare, in cui la nostra fede è messa alla prova. Gesù ci fa toccare le sue piaghe perché non c’è risurrezione senza condivisione della miseria più grande. Cristo l’ha condivisa in maniera unica. La nostra fede passa dunque attraverso la croce, e dalla croce alla risurrezione. Un invito finale poi ci viene dall’evangelista Giovanni: credere, per avere la salvezza. Non essere increduli, ma credenti.
Luca T.