Chissà, un giorno potrei essere al suo posto – Gianni ci racconta la sua vocazione
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
di Gianni Calandriello – 23 Gennaio 2024
Durante la Santa Messa di domenica 21 gennaio, su invito del nostro parrocco, don Mauro Tramelli, il seminarista Gianni Calandriello, che ormai da ben tre anni collabora nel servizio pastorale nella nostra Comunità pastorale, ha offerto una breve testimonianza di come è nata e maturata la sua vocazione che lo sta conducendo ad essere ordinato sacerdote. È un racconto a cuore aperto: lo riportiamo per esteso di seguito, con qualche piccolo e opportuno adattamento. Buona lettura, dunque, ne vale la pena. E non dimentichiamo mai di pregare affinchè il Signore della messe non faccia mai mancare operai per la sua messe.
Diciamo che la mia storia vocazionale è molto semplice, non c’è nulla di particolare… Molte volte pensiamo che le vocazioni nascano da eventi straordinari, dove succedono magari apparizioni o prodigi… nel mio caso, davvero, nulla di tutto ciò! È nella quotidianità delle nostre vite, io penso, che il Signore chiama e tocca ciascuno di noi… non solo coloro che spinge alla vita consacrata, ma ognuno di noi, in tutto quello che facciamo.
Sin da bambino, assieme a mia madre, andavo a messa tutte le domeniche e dentro di me c’era già qualcosa, un luogo segreto del cuore dove il Signore ha seminato. I primi sentori di vocazione li ho avvertiti però mentre frequentavo le scuole superiori. Mi piace paragonare la vocazione sacerdotale al matrimonio: sono due strade solo apparentemente diverse. In realtà camminano insieme e le dinamiche alla fine sono le stesse, perché come succede nei fidanzamenti la prima cosa che colpisce è l’aspetto fisico.
La prima cosa che mi ha colpito è stata la figura del sacerdote. Chissà, mi dicevo, tra qualche anno forse potrei essere al suo posto, lì sull’altare, a fare ciò che fa lui. Però, allo stesso tempo, più mi rendevo conto di questa chiamata da parte del Signore più avevo paura. Non ho detto subito sì, e questo perché è come gettarsi nel vuoto, quando non sai a cosa vai incontro, cadono le tue sicurezze, vengono meno le tue prospettive… Io, per esempio, quando ero bambino volevo fare il carabiniere.
Per accogliere la chiamata, c’è bisogno di essere liberati da tutte quelle reti, quelle sovrastrutture che t’intrappolano e non ti fanno vedere la realtà… Per prima cosa, infatti, bisogna prendere coscienza di questa chiamata, rendersi conto che essa esiste. Così mi sono fatto aiutare da un sacerdote e ho iniziato un cammino di discernimento assieme a lui. Due anni dopo aver terminato le Superiori sono entrato in seminario a Salerno, la mia città, dove ho frequentato l’anno di preseminario e i primi due anni di seminario.
Poi è subentrata una crisi vocazionale, anche perché ero un poco più giovane, e quindi ho preso un periodo di distacco dal seminario. In quel periodo, per quattro anni, ho lavorato in una band con cui facevamo matrimoni, compleanni ecc. Avevo quasi tutto: mi sentivo realizzato e guadagnavo bene, ma mi mancava quel qualcosa in più, come in un puzzle dove manca un pezzo. E mi chiedevo questo pezzo quale fosse, perché avevo la felicità momentanea, ma mi rendevo conto che non mi bastava quello, mi accorgevo che quella gioia passeggera non era poi quella che tu vuoi davvero, che aspiravo a qualcosa di più grande e più vero.
Tutto questo l’ho trovato soltanto rispondendo sì. Il mio sì convinto, il mio sì pronunciato davvero con consapevolezza, è stato in quel momento, quando è successa una cosa che può essere banale ma in cui ho avvertito l’opera del Signore, che ama stupire e trasformare nelle piccole cose. In quel periodo non partecipavo neppure alla messa domenicale, anche perché ero impegnato con il lavoro, quando incontrai in modo fortuito il mio parroco che mi rimproverò perché non ero più andato a trovarlo. Ebbene, in quell’incontro ho visto la presenza del Signore: da quel momento ho iniziato di nuovo ad avvicinarmi a Lui e approfondire ancora di più la mia esperienza di fede. In seguito a ciò, ho chiesto al mio Vescovo di iniziare un percorso: sono stato affidato a un sacerdote che mi ha ospitato per un intero anno, presso la sua Parrocchia, senza studiare e senza lavorare. Un anno che è stato per me intenso, dove ho veramente sperimentato la bellezza dell’incontro con Dio. Credo infatti che oltre all’esperienza comunitaria, dobbiamo vivere la nostra esperienza personale con Dio, e ognuno di noi può e deve creare un rapporto diverso e personale con il Signore. In quel periodo ho riscoperto questo legame, ho ritrovato quello che avevo perduto, cioè il rapportarmi in maniera continua e sincera con il Signore, ascoltando la sua Parola. Molte volte ci chiediamo: “Signore, perché non parli? Dove sei?”. È nella sua Parola che il Signore ci parla.
Nel 2021 sono arrivato qui a Piacenza. Già tempo prima il mio Vescovo mi aveva proposto Piacenza, che consideravo però troppo lontana, figurarsi poi Pontenure, l’ombelico del mondo, ma alla fine sono arrivato qui. In seminario, al Collegio Alberoni, ho trovato un ambiente serenissimo. Anche il rapporto con i Padri è molto positivo: ho scoperto che sono lì a guidarti non perché devono ma perché vogliono farlo, senza parlare dei ragazzi provenienti da varie parti del mondo (Africa, Ucraina, Messico), un ambiente capace di arricchirti perché puoi confrontarti davvero con tante culture. La settimana dopo il mio arrivo a Piacenza sono arrivato a Pontenure. Quando il Padre responsabile mi comunicò la mia destinazione mi dissi: “Chissà dov’è Pontenure?” e poi vi ho conosciuti. È così che sono arrivato a trascorrere questo tempo con voi.
Un’ultima richiesta. Vi chiedo di pregare per me e la mia vocazione, affinché possa essere, se il Signore lo vorrà, un sacerdote secondo il suo cuore. Grazie.